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Lombalgia: la più frequente causa di assenza dal lavoro

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clip_image002Lombalgia: la più frequente causa di assenza dal lavoro
Definizione: E' un disturbo frequente in età adulta, con massima incidenza tra i 40 e i 50 anni di età, circa l'80% della popolazione ne è colpito almeno una volta nella vita
La lombalgia (cioè il dolore alla colonna vertebrale, il complesso funzionale che fa da pilastro all’organismo umano)
non è una malattia ma un sintomo di diverse patologie, aventi in comune la diffusione del dolore in regione lombare. È un disturbo estremamente frequente in età adulta, con massima incidenza in soggetti di 40-50 anni di entrambi i sessi. Circa l'80% della popolazione ne è colpito almeno una volta durante la vita.
Può presentarsi in forma acuta, subacuta e cronica, con diversi gradi di disabilità.
È tra le più frequenti cause di assenza dal lavoro ed ha perciò un'elevata incidenza socio-economica.
La lombalgia è distinta in due grandi gruppi, a seconda che derivi o meno dai segmenti ossei sovrapposti (le vertebre) che la compongono:
  • di origine vertebrale
  • di origine extravertebrale
Appartengono al primo gruppo le forme da patologie congenite, tra cui:
  • sacralizzazione dell’ultima vertebra lombare, la quinta, che in questo caso risulta fusa con la prima vertebra sacrale
  • spondilolisi, ovvero la mancata fusione di parte dell’arco posteriore di una vertebra
  • spondilolistesi, quando avviene lo scivolamento in avanti di un corpo vertebrale
  • sinostosi, deformità congenita dovuta alla fusione di due o più vertebre;
e le forme, molto più frequenti, da patologie acquisite:
  • processi degenerativi, tra cui discopatie, stenosi del canale etc
  • malattie reumatiche
  • infezioni
  • neoplasie
  • traumi
  • turbe metaboliche e del turnover osseo
Nel gruppo delle lombalgie extravertebrali figurano quelle da cause neuromeningee, viscerali  (gastrointestinali, urologiche e ginecologiche) e vascolari (aneurisma dell'aorta addominale).
Lombalgie particolari sono quelle da cause generali, quali stati febbrili, influenza, raffreddamento (lombalgia "a frigore").  Più cause di lombalgia possono coesistere nello stesso soggetto.
Cause: I segmenti che compongono la colonna vertebrale sono separati da articolazioni semimobili dette dischi intervertebrali, specie di cuscini dalla struttura fibrocartilaginea in grado di ammortizzare le sollecitazioni statico-dinamiche della colonna.
Più in dettaglio i dischi, privi di cavità articolare e di vasi sanguigni, sono ricchi in mucopolisaccaridi idrofili e sono dotati di innervazione sensitiva soltanto alla periferia dell'anello fibroso.
Il loro nucleo centrale molle rappresenta il residuo della notocorda, la struttura anatomica attorno alla quale si organizza la colonna vertebrale nell'embrione.
Il tessuto fibrocartilagineo discale resiste bene alle pressioni assiali simmetriche mentre mal sopporta le pressioni asimmetriche prolungate ed ancor più i movimenti di torsione esagerati.
La pressione intradiscale lombare è minima in posizione orizzontale, massima in posizione seduta, intermedia in posizione eretta.
La causa più comune di lombalgia (oltre il 90% dei casi) è la degenerazione dei dischi intervertebrali, specie tra quarta e quinta vertebra lombare (L4-L5) e tra quinta vertebra lombare e prima sacrale (L5-S1).

Discopatia degenerativa e artrosi
Con il termine discopatia degenerativa si indica l'insieme dei processi regressivi a cui spesso va incontro il tessuto discale nel corso della vita e che porta ad un progressivo decadimento delle sue proprietà morfostrutturali e funzionali.
In particolare si assiste alla degradazione degli amino zuccheri (mucopolisaccaridi), con riduzione del contenuto idrico, alterazione del collagene e diminuzione dell'altezza, resistenza ed elasticità dei dischi, da cui consegue, con il passare del tempo, un'instabilità segmentaria di vario grado, tale da alterare i rapporti intersomatici vertebrali (cosiddetta pseudo spondilolistesi). Non di rado si formano fissurazioni radiali dell'anello fibroso, con possibile sviluppo di ernie discali.
Nello sviluppo della comune discopatia degenerativa e dell'artrosi che ne consegue il fattore di base più importante è certamente l'invecchiamento, oggi prolungato dall'aumento della durata media della vita ma già presente in età adulta. I confini tra invecchiamento tissutale fisiologico e patologico (artrosi) sono mal definiti, poichè in entrambi si riscontrano alterazioni metaboliche e strutturali simili.
In alcuni soggetti, per cause genetiche, tali processi possono manifestarsi prima: vere e proprie ernie dei dischi lombari possono manifestarsi in anticipo, sia pure eccezionalmente, nell'infanzia e nell'adolescenza, per un probabile difetto genetico del tessuto connettivo. È nota infatti da tempo una certa familiarità sia per l'artrosi che per l'ernia del disco.

I fattori meccanici, sia statici che dinamici, concorrono al processo di degenerazione discale, accentuandone le conseguenze.
I fattori dinamici (legati al movimento) sembrano avere un'importanza nettamente prevalente rispetto a quelli statici (legati alla forza di gravità). Di ciò si ha conferma nel  fatto che la lombalgia è comune anche in soggetti magri e che patologie vertebrali del tutto simili a quelli dell’uomo (artrosi deformante, ernia del disco) si riscontrano negli animali quadrupedi, nei quali la colonna ha una disposizione orizzontale. Non è pertanto sostenibile che la lombalgia sia il prezzo che la specie umana deve pagare per aver assunto la posizione eretta.
La spiegazione del dolore lombare viene fornita dalle conoscenze di neuroanatomia. Per effetto delle fissurazioni radiali, irradiate posteriormente alla superficie dei dischi, sporgenti e rigonfi per la loro riduzione in altezza, o anche per la presenza di una loro protrusione, le diramazioni sensitive del nervo seno-vertebrale di Luschka vengono irritate o stirate. 

Il nervo seno-vertebrale di Luschkaè un piccolo nervo che, distaccandosi bilateralmente da ciascun nervo spinale subito fuori del foro di coniugazione, penetra in esso e si distribuisce alle strutture del canale vertebrale, tra cui in particolare il legamento longitudinale posteriore, la superficie del  disco e la capsula delle articolazioni apofisarie.
Il dolore  prodotto dalla stimolazione meccanica  nervosa e dalla conseguente flogosi locale è causa di spasmo muscolare riflesso, per impulsi che giungono ai muscoli paravertebrali attraverso la branca laterale dei rami spinali posteriori.

 
Sintomi e Segni: Un episodio acuto di lombalgia è caratterizzato dall'improvvisa comparsa spontanea (o anche dopo un movimento banale, uno starnuto o uno sforzo fisico di varia entità) di un violento dolore trafittivo in regione lombare, talvolta così intenso da portare ad un brusco cedimento degli arti inferiori (cosiddetto colpo della strega).
Il dolore può irradiarsi ai fianchi o ai glutei, limita grandemente o blocca del tutto i movimenti della colonna lombare e può accompagnarsi ad atteggiamenti antalgici coatti in cifosi (per appianamento o inversione della lordosi lombare fisiologica) o in scoliosi (per deviazione del rachide nel piano frontale, verso destra o verso sinistra).

Esistono spesso punti dolorosi alla digitopressione loco-regionale e la muscolatura presenta una contrattura di vario grado.
 
La lombalgia può rimanere isolata o essere il primo stadio di una sciatalgia o di una cruralgia, espressione dell'interessamento di una o più radici nervose spinali, per intervenuta ernia del disco o per aggravamento di altra patologia vertebrale, ad esempio spondilolistesi. È ritenuta possibile l'esistenza di una ridotta sensibilità al dolore in alcuni soggetti.
L'episodio lombalgico ha varia durata, solitamente da 2 a 3 settimane. La remissione è spontanea, facilitata dalle cure. Nelle forme croniche il dolore è di tipo gravativo, talora continuo e causa di impedimento di comuni gesti della vita quotidiana, come infilarsi calze e scarpe.
 

Diagnosi: Per la valutazione dell'origine della lombalgia (diagnosi di natura)  è molto importante la raccolta da parte del medico di un'accurata anamnesi (storia clinica), diretta in particolare ad escludere malattie degli apparati digerente ed urogenitale.
Si dovranno valutare sia la sede e le caratteristiche del dolore, sia le modalità d'insorgenza: nelle comuni forme vertebrali è tipico rilevare un'accentuazione del dolore in stazione eretta, nei movimenti del tronco e nel trasporto di pesi, e si assiste ad una sua  esacerbazione con i colpi di tosse e di starnuto.
Nelle lombalgie "da sforzo", allo sforzo va assegnato il ruolo di elemento rivelatore di preesistenti alterazioni vertebrali, per lo più di tipo degenerativo o rachiartrosico.
 
Indagini strumentali, quali esame radiografico, Risonanza magnetica nucleare e Tomografia assiale computerizzata,  trovano indicazione soltanto nei casi di lombalgia più grave o di dubbia natura, nelle recidive e nei pazienti con associata irradiazione del dolore agli arti inferiori.
Nella valutazione di queste indagini si deve sempre tener conto del fatto che immagini indicative di degenerazione discale, artrosi intersomatica ed apofisaria, conseguenza di instabilità segmentaria vertebrale e/o di sovraccarico meccanico, sono molto comuni anche in pazienti asintomatici.
 

Prevenzione: La comune lombalgia degenerativa, anche detta aspecifica, risulta per sua natura difficile da prevenire.
Una prevenzione indiretta può essere fatta attraverso la correzione di eventuali alterazioni croniche della statica vertebrale (scoliosi, iperlordosi lombare, spondilolistesi), la correzione di difetti posturali e di dismetrie degli arti inferiori (fattori di rischio).

Si deve raccomandare di evitare il sollevamento di pesi ad arti inferiori estesi, incoraggiando invece il piegamento sulle ginocchia qualora si debba sollevare un peso. Allo steso modo è da evitare l'esecuzione di ripetuti movimenti torsionali del tronco.
Non vi è alcuna evidenza pro o contro l'uso di tipi specifici di sedie o materassi (per questi ultimi meglio comunque una durezza media).
La prevenzione in età scolare
A scuola è raccomandabile che l'altezza del banco sia tale da non obbligare il bambino o l'adolescente a sedere con la colonna atteggiata in cifosi a largo raggio. Lo stesso per quanto riguarda, a casa, l’altezza della scrivania.
Zainetti e cartelle vanno portati in modo da evitare pesi eccessivi e soprattutto un carico rachideo asimmetrico.
Se usato correttamente e se non è troppo pesante, lo zaino non fa male: è bene stringere le cinghie in modo che aderisca al dorso e non rimanga staccato nella parte alta. Se lo zaino ne è provvisto, è utile anche la cinghia lombare: ben regolata, consente di scaricare circa un terzo del peso dello zaino direttamente sul bacino. Se i libri e i materiali da portare sono però eccessivamente pesanti, è preferibile l’uso di una cartella-trolley.

La prevenzione in età lavorativa
La postazione di lavoro dev essere adattata all'altezza del soggetto ed alle sue mansioni specifiche. Nella posizione seduta protratta si deve favorire il mantenimento della fisiologica lordosi lombare, magari con il supporto di un cuscino tra cute e schienale, avendo cura di cambiare spesso attivamente la posizione (autocontrollo). I sedili delle automobili sono da tempo conformati in maniera tale da favorire una corretta postura.
Si raccomandata di praticare una regolare quotidiana attività fisica mediante passeggiate, esercizi, bicicletta, sport, al fine di mantenere l'efficienza della muscolatura vertebrale, addominale e glutea e ridurre le recidive della lombalgia.
 

Terapia: Il  trattamento della lombalgia degenerativa è puramente sintomatico.
Il riposo a letto va riservato alle sole fasi dolorose acute ed è possibilmente da evitarsi nelle forme subacute e croniche.
Supporti lombari diurni (corsetti semirigidi o elastici) possono dare sollievo al dolore, ma è da sconsigliarne l'uso protratto per non incorrere in una dannosa ipotrofia della muscolatura vertebrale.

Eventuali dismetrie degli arti inferiori trovano soluzione in un rialzo nella scarpa dal lato affetto.
Nella lombalgia acuta è utile la somministrazione di farmaci per via generale (analgesici tipo paracetamolo, antiinfiammatori non steroidei - Fans, miorilassanti).
I Fans possono agire anche per via transcutanea (ionoforesi, cerotti medicati).

Nelle lombalgie croniche svolge un ruolo importante la terapia fisica o fisioterapia (termoterapia esogena, anche mediante comuni termofori elettrici; termoterapia endogena con onde corte ed ultracorte; laserterapia, correnti interferenziali, TENS, eccetera).
Un rilassamento muscolare antalgico può essere ottenuto con il massaggio manuale o mediante bagni in piscina termale, in associazione o meno a fangature. Le manipolazioni del rachide richiedono estrema cautela, per il pericolo di ernia discale. Efficaci, anche se poco attuate, le trazioni vertebrali.
Forme particolari di trattamento, in caso di inefficacia dei comuni mezzi medicamentosi e fisici, sono quelle mediante agopuntura e mediante iniezioni di corticosteroidi in sede epidurale o interapofisaria articolare. La cura con iniezioni intramuscolari paravertebrali di una miscela di ossigeno ed ozono non ha basi scientifiche e la loro efficacia non è supportata in letteratura da studi controllati.
La ginnastica vertebrale è finalizzata al potenziamento dei muscoli deputati alla stabilità rachidea (sacrospinali, addominali e glutei) e contribuisce a vincere la paura del movimento.
Nelle lombalgie secondarie a patologie vertebrali ben definite, quali ernia del disco, scoliosi e spondilolistesi, possono rendersi necessari interventi chirurgici ortopedici (erniectomia, correzione e stabilizzazione strumentata delle deformità).
Nelle forme di discopatia degenerativa cronica altamente invalidante sono stati recentemente introdotti vari modelli di protesi discale, che però non sono esenti da insuccessi e complicazioni anche gravi.
Per il trattamento delle lombalgie di origine extravertebrale, da patologie neuromeningee, vascolari e degli apparati digestivo ed urogenitale, si richiede l'intervento specialistico.
 

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Il mal di schiena negli operatori sanitari:
diffusione del fenomeno, livelli di rischio, prevenzione e trattamento





Fonte: http://www.salute.gov.it/portale/salute/

Le informazioni pubblicate nel "BLOG vedi Disclaimer
non sostituiscono in alcun modo i consigli, il parere, la visita, la prescrizione delmedico.





















































Guida all'esenzione per patologie croniche

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                Guida all'esenzione per patologie croniche

  1. L'esenzione deve essere richiesta all'Azienda USL di residenza, presentando un certificato medico che attesti la presenza di una o più malattie incluse nel d.m. 28 maggio 1999, n. 329 e successive modifiche. Il certificato deve essere rilasciato da un presidio ospedaliero o ambulatoriale pubblico.
Sono validi ai fini del riconoscimento dell'esenzione anche:


  • la copia della cartella clinica rilasciata da una struttura ospedaliera pubblica
  • la copia del verbale di invalidità
  • la copia della cartella clinica rilasciata da una struttura ospedaliera privata accreditata, previa valutazione del medico del Distretto sanitario della Azienda USL di residenza
  • i certificati delle Commissioni mediche degli Ospedali militari
  • le certificazioni rilasciate da Istituzioni sanitarie pubbliche di Paesi appartenenti all'Unione europea
  • L'Azienda USL rilascia, nel rispetto della tutela dei dati personali, un attestato che riporta la definizione della malattia con il relativo codice identificativo e le prestazioni fruibili in esenzione secondo il d.m. 28 maggio 1999, n. 329 e successive modifiche.
  • Coloro che sono già esenti per le seguenti malattie: Angioedema ereditario, Dermatomiosite, Pemfigo e pemfigoidi, Anemie congenite, Fenilchetonuria ed errori congeniti del metabolismo, Miopatie congenite, Malattia di Hansen, Sindrome di Turner, Spasticità da cerebropatia, Retinite pigmentosa hanno diritto all’esenzione ai sensi del regolamento sulle malattie rare (18 maggio 2001 n.279) che prevede per queste condizioni una più ampia tutela.
  • Per ottenere informazioni utili sul nuovo sistema di esenzione e sulla documentazione clinica idonea da presentare alla propria Azienda USL, è opportuno che l’assistito si rivolga al proprio medico di famiglia o al pediatra di libera scelta che saprà informarlo e indirizzarlo correttamente.
  •                                          clip_image003
    Consulta l'elenco aggiornato delle malattie croniche e invalidanti che danno diritto all’esenzione dalla partecipazione al costo (ai sensi del DM 28 maggio 1999 n. 329, come modificato dal DM 21 maggio 2001, n. 296 e dal DM 18 maggio 2001, n. 279):
    in formato pdf (95 Kb)
    · in formato xls (180 kb)
    · banca dati (ricerca malattie esenti per nome o per codice di esenzione)
    FONTE: clip_image005






    IPOFOSFATASIA

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    clip_image002 IPOFOSFATASIA

    Codice esenzione : RC0160
    IPOFOSFATASIA DELL'ADULTO fa riferimento a IPOFOSFATASIA
    Definizione
    Disordine metabolico genetico dovuto al deficit di fosfatasi alcalina sierica e ossea che conduce all'ipercalcemia e ad un aumento sierico e urinario di fosfoetanolamina. Le manifestazioni cliniche includono difetti scheletrici severi rassomiglianti al rachitismo vitamina D resistente, deficit di calcificazione della volta cranica, dispnea, cianosi, vomito, costipazione, calcinosi renale, deficit di crescita, disturbi del movimento, bordatura a granuli delle giunzioni costocondrali e modificazioni rachitiche dell'osso.
    Medline Thesaurus

    Segni e sintomi
    Da un punto di vista clinico l'ipofosfatasia colpisce soprattutto lo scheletro e la dentizione. Tuttavia la gravita dell'espressione e altamente variabile e va dalla morte in utero a meri problemi della dentizione in eta adulta.

    Infatti alcuni individui che presentano caratteristiche biochimiche anomale possono rimanere asintomatici. Sebbene l'ipofosfatasia si riscontri all'interno di consanguinei, l'espressione clinica puo essere assai variabile anche all'interno di uno stesso gruppo. Poiche le basi genetiche dell'ipofosfatasia stanno per essere svelate, ci sono i presupposti, nel futuro, per una nosologia molecolare. Tuttavia l'attuale classificazione dei pazienti per la prognosi, le stime dei rischi di ricaduta e cosi via, rimane di tipo clinico. Sono stati proposti diversi schemi nel tentativo di tener conto della alta variabilita dell'espressione clinica. Le sei forme cliniche individuate costituiscono una utile separazione classificatoria. In base all'eta in cui vengono riscontrate le lesione nell'osso si distinguono: la forma perinatale (letale), infantile, dell'infanzia, dell'adulto. I pazienti che presentano solamente manifestazioni odontoiatriche appartengono alla forma definita odontoipofosfatasia. Una variante particolarmente rara e chiamata poseudoipofosfatasia che assomiglia all'ipofosfatasia infantile ad eccezione dell'attivita serica dell'ALP che non e inferiore al normale nel laboratorio clinico. Le prognosi di queste forme di ipofosfatasia di solito sono legate alla gravita della malattia scheletrica che a sua volta e correlata all'eta di presentazione. Di solito la malattia e tanto piu severa quanto piu precocemente si presentano i sintomi. Sebbene questa classificazione sia utile, vi e una considerevole variabilita anche all'interno di ogni forma clinica e non vi e una chiara separazione tra esse.


    Ipofosfatasia perinatale (letale). L'ipofosfatasia perinatale costituisce la forma piu grave. Si manifesta in utero e puo causare la nascita di feti nati morti. La gravidanza puo essere complicata da polidramnios. Alla nascita il caput membranaceum e gli arti appaiono piu corti del normale e deformati a causa di una intensa demineralizzazione scheletrica. Insoliti speroni osteocondrali possono protrudere attraverso la cute dalla porzione mediana degli avambracci e delle gambe. Alcuni neonati vivono pochi giorni, ma vanno incontro successivamente a compromissione respiratoria per i difetti dovuti al rachitismo nel tronco e per i polmoni ipoplasici. I riscontri clinici includono anche scarsa crescita e spesso violente crisi di pianto, irritabilita, apnea periodica con cianosi e bradicardia, febbre inspiegabile, anemia mieloftisica (forse per l'invasione dello spazio midollare dall'eccesso di osteoide), emorragia intracranica e attacchi convulsivi. Molto raramente i pazienti hanno una sopravvivenza prolungata. Lo studio radiologico dello scheletro permette di distinguere l'ipofosfatasia perinatale dall'osteogenesi imperfetta e da altre forme congenite di nanismo. Per questo le alterazioni radiografiche possono essere considerate diagnostiche. Ciononostante i riscontri possono essere diversi e vi e notevole variabilita da paziente a paziente. In alcuni casi, lo scheletro appare quasi del tutto demineralizzato. In altri e presente marcata submineralizzazione ossea e gravi alterazioni rachitiche tra cui aree estese irregolari di radiotrasparenza nelle metafisi associate a epifisi scarsamente ossificate. Spesso vengono registrate fratture. Le singole ossa membranose del cranio possono evidenziare calcificazioni solo nelle loro porzioni centrali cosi che le aree del cranio non ossificate fanno apparire le suture craniche ampiamente separate. Tuttavia le suture possono essere funzionalmente chiuse. I denti sono scarsamente formati. Un'altra caratteristica inusuale comprende parti delle vertebre (o vertebre intere) che sembrano mancanti e speroni ossei che protrudono lateralmente rispetto all'asse mediana dell'ulna e della fibula.

    Ipofosfatasia infantile. L'ipofosfatasia infantile si manifesta entro i 6 mesi d'eta. Lo sviluppo postnatale sembra normale fintanto che non compaiono segni di scarsa nutrizione, inadeguata crescita ponderale e segni clinici di rachitismo. Le suture craniche appaiono larghe ma i difetti di ossificazione del cranio possono causare una craniosinostosi 'funzionale'. Puo essere presente pressione intracranica aumentata, con estroflessione delle fontanelle, papilledema, proptosi, lieve ipertelorismo e brachicefalia. Se i pazienti sopravvivono all'infanzia puo riscontrarsi una vera fusione prematura delle suture craniche. Sono state registrate sclere bluastre. Il bambino puo essere predisposto a polmoniti per il tronco segnato dalle deformita del rachitismo o per le fratture costali. Sono frequenti l'ipercalcemia e l'ipercalciuria che possono causare vomito, nefrocalcinosi e compromissione renale. I segni radiografici dell'ipofosfatasia infantile sono caratteristici e assomigliano a quelli della forma perinatale sebbene siano meno gravi. Nei pazienti con diagnosi recente, vi e una brusca transizione dalla diafisi apparentemente normale alla metafisi scarsamente calcificata. Questo ritrovamento e interessante poiche suggerisce che e avvenuto un repentino cambiamento patofisiologico. Studi radiografici sequenziali possono evidenziare non solo la mineralizzazione scheletrica persistentemente deficitaria tipica del rachitismo, ma anche la graduale demineralizzazione del tessuto osseo. La scintigrafia scheletrica puo aiutare a dimostrare la chiusura funzionale delle suture craniche dal momento che queste strutture mostrano una ridotta captazione del tracciante sebbene appaiano allargate nelle immagini radiografiche convenzionali.


    Ipofosfatasia del'infanzia. L'ipofosfatasia dell'infanzia e anch'essa altamente variabile quanto ad espressione clinica. La perdita prematura dei denti decidui (prima dei 5 anni d'eta), avviene solo con un minimo riassorbimento della radice del dente a causa dell'aplasia, dell'ipoplasia o della displasia del cemento dentale. Con meno probabilita la distruzione del cemento viene causata da un'infezione periodontica. Tipicamente vengono persi per primi i denti incisivi inferiori e talvolta quasi l'intero apparato dentario risulta esfoliato. Le immagini radiografiche dentali possono evidenziare camere pulpari e canali delle radici allargate ('denti a conchiglia'). Puo essere registrato attrito dell'osso alveolare, in particolar modo nella porzione anteriore della mandibola, per la mancanza della stimolazione meccanica poiche il difetto del cemento dentale fa si che i ligamenti periodontici non connettano in modo appropriato i denti alla mandibola. La prognosi e migliore per quel che riguarda la dentizione permanente. Nell'ipofosfatasia dell'infanzia, il rachitismo causa spesso bassa statura ed e associato a ritardo del cammino e caratteristica andatura dondolante. Le deformita rachitiche comprendono aspetto delle giunzioni costocondrali a catena di rosario, gambe curvate o ginocchia con valgismo, allargamento dei polsi, delle ginocchia e delle caviglie a causa delle metafisi allargate e occasionalmente cranio brachicefalico. I pazienti possono lamentare dolore e rigidita, isolati episodi di disturbi articolari ed edema. Possono presentare una importante debolezza soprattutto a livello delle cosce compatibile con una miopatia non progressiva. La radiografia delle metafisi delle principali ossa lunghe di solito evidenzia caratteristici difetti ossei focali rappresentati da 'lingue' radiotrasparenti che vanno dai dischi di accrescimento fino alle metafisi. Questa caratteristica, se presente, permette di distinguere l'ipofosfatasia da altre forme di rachitismo e da displasie metafisarie. I centri epifisari di ossificazione possono essere ben conservati. Pio essere registrata una craniosinostosi funzionale malgrado le fontanelle ampiamente aperte, effetto apparente delle aree di ipomineralizzazione della calotta cranica. Successivamente la vera fusione ossea prematura delle suture craniche puo causare aumento della pressione intracranica, proptosi e danno cerebrale.

    Ipofosfatasia dell'adulto. L'ipofosfatasia dell'adulto di solito si presenta nella mezza eta. Tuttavia i pazienti possono raccontare all'anamnesi di aver sofferto di rachitismo e di perdita prematura dei denti decidui seguiti da uno stato di relativa buona salute. Successivamente si manifesta osteomalacia con dolore ai piedi, a causa di fratture metatarsali ricorrenti che guariscono difficilmente, e disturbi nelle cosce o nelle anche per pseudofratture femorali. E frequente la perdita o l'estrazione prematura della dentizione adulta. Il deposito di calcio pirofosfato diidrato causa problemi a certi pazienti, occasionalmente con attacchi di artrite (pseudogotta). Altri soffrono di artropatia da pirofosfato. Apparentemente queste complicazioni sono dovute all'aumento dei livelli endogeni di pirofosfato. I soggetti colpiti sono inoltre predisposti allo sviluppo di iperparatiroidismo primitivo. Studi di srceening spesso permettono di evidenziare familiari sintomatici o asintomatici. In alcuni parenti con ipofosfatasemia, vi e deposito periarticolare di calcio fosfato che si manifesta clinicamente come 'periartrite calcifica' e ossificazione dei legamenti (sindesmofiti) assomigliante all'iperostosi spinale (malattia di Forestier). Lo studio radiografico puo evidenziare pseudofratture (zone di Looser), segno caratteristico di osteomalacia. Inspiegabilmente questi riscontri si trovano molto spesso nelle cortecce laterali della porzione prossimale del femore, piuttosto che nella porzione mediale come avviene tipicamente nell'osteomalacia. Vi puo essere anche osteopenia, condrocalcinosi, segni di artropatia da pirofosfato e periartrite calcifica.

    Odontoipofosfatasia. Si parla di odontoipofosfatasia quando l'unica anomalia clinica presente e la malattia dentaria con studi radiografici o biopsie ossee che evidenzino l'assenza di rachitismo o di osteomalacia. L'odontoipofosfatasia puo spiegare alcuni casi di periodontite con esordio precoce, sebbene tale condizione di solito sia spiegata da anomalie ereditarie dei leucociti e da altre malattie.
    Pseudoipofosfatasia. La pseudoipofosfatasia e una forma estremamente rara di ipofosfatasia. E stata documentata in modo convincente in due infanti. I segni clinici, radiografici e biochimici sono quelli dell'ipofosfatasia infantile, ad eccezione dell'attivita serica dell'ALP che e costantemente normale o aumentata con i metodi comunemente operati nei laboratori clinici. Il difetto enzimatico sembra coinvolgere una ALP non tessuto specifica mutata che nelle condizioni non fisiologiche dei comuni metodi di rilevamento dell'ALP, mantiene o possiede una aumentata attivita catalitica, ma ha diminuita attivita a livello endogeno. Di conseguenza vengono accumulati PEA, PPi e PLP. Alcuni riscontri di poseudoipofosfatasia non sono convincenti e sembrano descrivere individui con ipofosfatasia con normalizzazione transitoria dell'attivita serica di ALP nel corso di fratture, malattie e cosi via, o piu probabilmente, sembrano essere dovuti ad una errata interpretazione dei range di riferimento dell'attivita serica e/o ad eccessiva importanza attribuita al livello di PEA urinario lievemente elevato.
    (C. Scriver et al., The Metabolic and Molecular Bases of Inherited Disease, Eighth Edition)

    Storia naturale
    L'ipofosfatasia e presente in tutto il mondo. Tuttavia viene riscontrata particolarmente nelle famiglie Mennonite del Manitoba, in Canada, dove 1 nuovo nato su 2500 manifesta la malattia in forma grave e circa 1 soggetto su 25 e portatore. L'incidenza delle forme severe a Toronto (Canada) e stata stimata nel 1957 di 1 su 100.000 nati vivi.
    L'ipofosfatasia perinatale (letale) e quasi sempre una condizione fatale; raramente i pazienti affetti hanno una sopravvivenza prolungata. L'ipofosfatasia infantile ha un andamento non predicibile: in alcuni pazienti vi e un progressivo deterioramento scheletrico, in altri vi e un miglioramento spontaneo. Studi radiografici sequenziali sono fondamentali per stabilire una prognosi. Circa il 50% di questi pazienti muoiono per la compromissione dell'apparato respiratorio che segue il peggioramento della malattia scheletrica a livello del tronco. La prognosi sembra migliorare dopo l'infanzia. Anzi una studio preliminare condotto in Canada suggerisce che fra i pazienti affetti da ipofosfatasia infantile che sopravvivono, la statura dell'adulto puo essere normale. Anche l'ipofosfatasia dell'infanzia puo migliorare spontaneamente durante l'adolescenza anche se e possibile, se non probabile, la ricaduta dei sintomi in eta adulta. L'ipofosfatasia dell'adulto provoca problemi ortopedici cronici dopo l'esordio della sintomatologia a livello scheletrico. Quando le donne affette entrano in menopausa puo essere riscontrata osteomalacia ingravescente che porta a osteopenia e fratture. (C. Scriver et al., The Metabolic and Molecular Bases of Inherited Disease, Eighth Edition)
     
    Eziologia
    L'ipofosfatasia e una malattia metabolica delle ossa a carico della fosfatasi alcalina (ALP) che riveste un ruolo cruciale nella mineralizzazione dello scheletro umano. L'attivita serica ridotta dell'ALP e il riscontro caratteristico e si riflette in una carenza generalizzata dell'attivita dell'isoenzima dell'ALP non tessuto specifica (fegato/ossa/rene). La catalisi effettuata dagli isoenzimi dell'ALP tessuto specifici (intestinale, placentare, e delle cellule germinali-simili a placenta), non e diminuita. La fosfatasi alcalina non tessuto specifica e una zinco metalloglicoproteina che e cataliticamente attiva come multimero di subunita identiche. Le isoforme dell'osso e del fegato differiscono per la modificazione post-translazionale. L'ALP non tessuto specifica e adesa alla superficie extracellulare della membrana plasmatica tramite legame glicosilfosfatidilinositolico. Il gene per l'ALP non tessuto specifica presenta un'estensione maggiore di 50 kb ed e localizzato sul cromosoma 1p36.1-34. Gli isoenzimi dell'ALP tessuto specifici, che forse includono una forma di ALP intestinale fetale, sono codificati da una famiglia di geni piu piccoli sul cromosoma 2q34-37.
    Nell'ipofosfatasia vengono accumulati a livello endogeno tre composti del fosforo che si suppone siano substrati naturali dell'ALP non tessuto specifica: la fosfoetanolamina (PEA), il fosfato inorganico (PPI) e il piridossal 5'-fosfato (PLP). Il PLP, un cofattore della vitamina B6, si raccoglie a livello extracellulare, mentre all'interno delle cellule risulta normale. Questa osservazione spiega l'assenza di sintomi nei pazienti con carenza o tossicita da vitamina B6 ed indica che l'ALP non tessuto specifica funziona come un ectoenzima. L'accumulo extracellulare di PPI, che a basse concentrazioni promuove il deposito di calcio fosfato mentre ad altre concentrazioni agisce come inibitore della crescita del cristallo di idrossiapatite, sembra spiegare il deposito associato di CPPD, e forse la periartrite calcifica e la mineralizzazione deficitaria a livello osseo e dentario. L'ipofosfatasia nella forma perinatale ed infantile e trasmessa con modalita autosomica recessiva e puo essere dovuta ad omozigosi o eterozogosi composta da un considerevole numero e varieta di mutazioni a carico del gene dell'ALP non tessuto specifica. La regolazione deficitaria dell'espressione del gene o della biosintesi dell'ALP non tessuto specifica puo spiegare alcuni casi particolarmente rari. I pazienti con l'ipofosfatasia dell'infanzia, dell'adulto od odontoipofosfatasia possono anch'essi essere eterozogoti composti per mutazioni a carico del gene dell'ALP non tessuto specifica. Tuttavia in alcuni consanguinei, forme lievi di ipofosfatasia vengono trasmesse con modalita autosomica dominante.
    (C. Scriver et al., The Metabolic and Molecular Bases of Inherited Disease, Eighth Edition)
     
    Diagnosi
    Riscontri biochimici. Attivita della fosfatasi alcalina (ALP). L'ipofosfatasia puo essere diagnosticata con un certo margine di confidenza quando vengono rilevate una storia clinica, riscontri fisici e radiografici in associazione ad una attivita della fosfatasi alcalina chiaramente e compatibilmente ridotta. In generale, la malattia e tanto piu grave quanto piu l'attivita dell'ALP, valutata relativamente all'eta, e diminuita. Anche i pazienti affetti da odontoipofosfatasia sono distinguibili dai soggetti sani per la loro ipoposfatasemia. Nelle forme perinatali e infantile, l'ipofosfatasemia e rilevabile nel sangue del cordone ombelicale. Infatti nelle forme di rachitismo o nell'osteomalacia oltre che nell'ipofosfatasia, l'attivita dell'ALP e tipicamente diminuita. Tuttavia devono essere evitati dei possibili errori diagnostici. Innanzitutto il campione di sangue deve essere raccolto correttamente; l'attivita dell'ALP puo venire alterata dalla chelazione del Mg2+ o dello Zn2+ per opera dell'EDTA o di altre sostanze. In secondo luogo i livelli serici dell'attivita dell'ALP devono essere interpretati sapendo che i valori di riferimento variano in modo significativo a seconda dell'eta e del sesso; per esempio gli infanti ed i bambini hanno livelli considerevolmente superiori degli adulti (a causa della relativa abbondanza della isoforma ossea dell'ALP non tissutale). L'attivita serica dell'ALP e particolarmente elevata durante la fase di crescita repentina nell'adolescenza, che avviene prima nelle ragazze rispetto ai ragazzi. Poiche gli intervalli di riferimento dei laboratori sono, sfortunatamente, appropriati solamente per gli adulti, alcuni infanti o bambini con ipofosfatasia sono giudicati avere normale attivita enzimatica, o al massimo pseudoipofosfatasia, dal momento che non sono forniti i corretti livelli di riferimento dell'ALP. In terzo luogo, l'ipofosfatasia puo essere riscontrata nell'ipotiroidismo, in condizioni di inedia, nell'anemia severa, nello scorbuto, nella malattia celiaca, nella malattia di Wilson, nell'ipomagnesemia o nella carenza di Zn2+ e con la somministrazione di certi farmaci (glucocorticoidi, chemioterapia, clofibrato, livelli da intossicazione di vitamina D o sindrome del latte alcalino), cosi come nell'avvelenamento da metalli pesanti radioattivi o massive trasfusioni di sangue o plasma. Tuttavia queste condizioni dovrebbero essere prontamente riconoscibili. Piu raramente i neonati con osteogenesi imperfetta possono presentare una attivita di ALP ridotta. Sono stati descritti alcuni casi di ipofosfatasia con aumento transitorio dell'attivita dell'ALP (probabilmente l'isoforma ossea dell'ALP non tissutale) dopo fratture o interventi chirurgici. Teoricamente tutte le condizioni che portino ad un aumento dell'attivita di qualsiasi forma di ALP (ad es. la gravidanza, la malattia epatica) possono mascherare la diagnosi biochimica di ipofosfatasia. Di conseguenza sembra opportuno, nei casi dubbi, il riscontro dell'attivita serica dell'ALP persistentemente ridotta in piu di un'occasione in fase di stabilita clinica. La quantificazione dei livelli di isoenzimi della ALP o delle forme non tessuto specifiche nel siero puo essere di aiuto. L'analisi dei livelli del PEA, Ppi e PLP sono particolarmente importanti nelle situazioni dubbie.

    Minerali. Differentemente dalla maggior parte dei tipi di rachitismo o di osteomalacia, ne il calcio ne il fosforo presentano livelli serici ridotti.
    Fosfoetanolaminuria. Livelli urinari aumentati di fosfoetanolaminuria (PEA) supportano una diagnosi di ipofosfatasia , ma tale riscontro non e patognomonico. E importante considerare, nella diagnosi dei casi lievi, che i livelli di PEA dipendono dall'eta, dalla dieta, seguono un ritmo circadiano e sono risultati normali in diversi soggetti affetti in modo lieve.
    PLP. Un livello plasmatico di piridossalfosfato (PLP) aumentato e il substrato dell'ALP non tessuto specifica piu sensibile e specifico per l'ipofosfatasia. Anche i pazienti con odontoipofosfatasia presentano questa caratteristica. Tuttavia per escludere valori falsamente positivi, non devono essere assunti supplementi vitaminici per una settimana prima dei prelievi. In generale, tanto piu il paziente e affetto in modo grave, tanto maggiori sono i livelli plasmatici di PLP. Cio nonostante vi e una sovrapposizione tra i diversi sottotipi clinici.
    PPi. I livelli urinari di PPi sono aumentati nella maggior parte dei pazienti con ipofosfatasia, anche se sono normali nei soggetti colpiti in modo lieve. La determinazione dei livelli urinari di PPi e risultata essere una tecnica sensibile per la ricerca dei portatori. Sfortunatamente questa tecnica rimane confinata agli ambiti di ricerca.
    Riscontri radiologici. Lo studio radiologico dello scheletro e diagnostico nell'ipofosfatasia perinatale. Anche nella forma infantile e dell'infanzia vengono di solito riscontrate anomalie caratteristiche. La scintigrafia ossea risulta utile nell'identificare fratture e per la diagnosi di craniosinostosi.
    Riscontri istopatologici. Sono state riscontrate anomalie soprattutto nei tessuti duri. Nei casi gravi, sono stati riscontrati polmoni ipoplasici e nel fegato viene occasionalmente notata ematopoiesi extramidollare.
    Scheletro. Sono descritte alterazioni da rachitismo nei dischi di accrescimento dove e presente distruzione della normale distribuzione colonnare dei condrociti; le zone di calcificazione provvisoria risultano allargate e le aree vicine alle cellule cartilaginee in degenerazione calcificano con difficolta. Tuttavia sono presenti le fonti cellulari dell'isoforma ossea dell'ALP non tessuto specifica (condrociti e osteoblasti) cosi come le vescicole della matrice, sebbene con livelli ridotti dell'attivita dell'ALP non tessuto specifica. Ad eccezione dei casi piu lievi (odontoipofosfatasia), le sezioni non decalcificate dell'osso rivelano una mineralizzazione deficitaria dello scheletro. L'alterazione della mineralizzazione dello scheletro e confermata se vengono somministrati per os brevi cicli di tetracicline: non saranno visibili al microscopio a fluorescenza le caratteristiche bande fluorescenti sulle superfici dell'osso dove la calcificazione dovrebbe normalmente avvenire a 'fronti di mineralizzazione'. La gravita del difetto di mineralizzazione nell'ipofosfatasia di solito e correlata all'andamento clinico. Se non vengono condotti studi istochimici relativamente all'attivita dell'ALP, le alterazioni istopaotologiche dell'ipofosfatasia nello scheletro non possono essere distinte dalla maggior parte delle forme di rachitismo o di osteomalacia. 

    Dentizione. Nell'ipofosfatasia questa complicazione e causata dall'aplasia, dall'ipoplasia o dalla displasia del cemento nonostante la presenza di cellule che appaiono come cementoblasti. La gravita del difetto varia da dente a dente, me generalmente riflette la gravita della malattia scheletrica. Gli incisivi sono i piu vulnerabili.
    (C. Scriver et al., The Metabolic and Molecular Bases of Inherited Disease, Eighth Edition)

    Diagnosi prenatale e prevenzione
    L'analisi dell'attivita dell'ALP nel fluido amniotico non e di utilita. Alla 14? e alla 18? settimana di gestazione, la maggior parte dell'ALP escreta dal feto e la forma intestinale. La misurazione dell'a-fetoproteina nel fluido amniotico, tuttavia, puo aiutare a differenziare l'anencefalia dall'ipofosfatasia grave. La forma perinatale (letale) di ipofosfatasia e stata diagnosticata in utero. Nel primo trimestre sono stati esaminati campioni di villi coriali di 15 donne gravide utilizzando un metodo che utilizza anticorpi monoclonali specifici per l'ALP non tessuto specifica. E necessaria una preparazione del campione accurata ed eseguita al tempo opportuno. L'analisi RFLP (restriction fragment length polymorphism), utilizzando un campione di villi coriali, e stata usata con successo per una famiglia Mannonita del Canada e per una famiglia giapponese. Nel secondo trimestre, l'ipofosfatasia perinatale e stata diagnosticata con l'ecografia (con attenzione agli arti e al cranio), con lo studio radiografico del feto e l'analisi dell'attivita dell'ALP nelle cellule del fluido amniotico eseguita da un laboratorio con particolare esperienza a riguardo. Uno studio ecografico, tuttavia, e stato giudicato normale alla 16? e 19? settimana di gestazione in 3 casi di ipofosfatasia perinatale nei quali lo studio radiografico alla 38? settimana dimostro assenza dello scheletro fetale. L'uso combinato di tecniche radiologiche, inclusa l'ecografia, sembra essere il miglior approccio diagnostico. L'utilita dell'analisi dell'ALP del cordone ombelicale non e stata testata. Le informazioni relative alla mutazione del gene per l'ALP non tessuto specifica sono state utilizzate con successo per valutare gravidanze a rischio della forma letale della malattia. Nelle forma lievi di ipofosfatasia non e stata effettuata la diagnosi prenatale.
    (C. Scriver et al., The Metabolic and Molecular Bases of Inherited Disease, Eighth Edition)
     
    Terapia
    Terapia medica. Non vi e una terapia medica stabilita per l'ipofosfatasia , sebbene siano stati studiati diversi trattamenti. La valutazione di ogni trattamento e resa difficoltosa dall'incerta evoluzione clinica di molti individui affetti, alcuni dei quali migliorano spontaneamente in base agli studi radiologici. Le terapie tradizionali per il rachitismo e per l'osteomalacia (vitamina D e apporto suppletivo di minerali) dovrebbero essere evitate se non vi sono evidenti carenze documentate, poiche i livelli circolanti di calcio, fosforo e dei metaboliti della vitamina D non sono bassi. Inoltre nei casi della forma infantile, l'eccesso di vitamina D puo aumentare l'assorbimento intestinale di calcio senza aumentare la formazione dello scheletro e causare o esacerbare quindi l'ipercalcemia e l'ipercalciuria. Tuttavia dovrebbero essere evitati anche la completa restrizione dell'apporto di vitamina D o dell'esposizione al sole, poiche e stata registrato rachitismo sovrapposto da carenza di vitamina D. L'ipercalcemia nell'ipofosfatasia infantile puo essere migliorato dalla diminuzione dell'apporto dietetico di calcio e/o con la terapia con glucocorticoidi, anche se puo susseguirsi una demineralizzazione scheletrica progressiva. Puo essere di beneficio il trattamento con la calcitonina sintetica per il controllo dell'ipercalcemia o per bloccare la perdita di minerali. In teoria, terapie con sostanze che siano in grado di stimolare la biosintesi di ALP non tessuto specifica o di aumentare la sua attivita potrebbe essere di giovamento nell'ipofosfatasia. La somministrazione di cortisone in alcuni pazienti con la malattia grave, e stata, secondo quanto riferito, seguita da periodi di normalizzazione dell'attivita serica dell'ALP e da miglioramento radiografico; tuttavia questo non e stato riscontrato sempre. Brevi trattamenti con zinco, magnesio, e un frammento attivo del paratormone con lo scopo di stimolare l'attivita o la sintesi dell'ALP sono risultati fallimentari. In altre malattie metaboliche dell'osso, il sodio fluoruro aumenta la funzione degli osteoblasti e aumenta l'attivita della forma ossea nel siero dell'ALP non tessuto specifica. Tuttavia una eccessiva quantita di fluoruro puo essa stessa alterare la mineralizzazione scheletrica e la qualita dell'osso; inoltre il fluoruro non e stato testato in modo rigoroso nell'ipofosfatasia.
    Se l'accumulo extracellulare di PPi riveste un ruolo chiave nella patogenesi dell'ipofosfatasia, la riduzione dei livelli endogeni di PPi potrebbe far si che la mineralizzazione scheletrica avvenga normalmente. Tuttavia l'efficacia di questo approccio terapeutico non e stata confermata. La terapia con sostituzione enzimatica e stata tentata tramite infusione endovenosa di diversi tipi di ALP dati ai pazienti con la forma infantile di ipofosfatasia. I risultati sono stati in generale discordanti.
    Terapia di supporto. Gli infanti ed i giovani bambini con ipofosfatasia dovrebbero essere seguiti con attenzione per quel che riguarda l'aumento della pressione intracranica sia per la craniosinostosi di tipo funzionale che reale. La sinostosi funzionale (che puo richiedere la craniotomia), puo riscontrarsi nonostante l'immagine radiografica delle fontanelle ampiamente aperte. Per i bambini colpiti sono particolarmente importanti appropriate cure dentali. La dentizione colpita in modo grave puo alterare la nutrizione; possono essere necessari interventi per preservare i denti nella loro posizione o l'uso di protesi dentarie complete o parziali. Uno studio indica che la proliferazione di batteri sulla superficie dentaria, forse collegata all'attivita dell'ALP non tessuto specifica dei leucociti, puo contribuire alla perdita dei denti. I sintomi causati dal deposito di CPPD o dei cristalli di calcio fosfato possono rispondere al trattamento con anti-infiammatori non steroidei.
    (C. Scriver et al., The Metabolic and Molecular Bases of Inherited Disease, Eighth Edition)                clip_image004Terapia sostitutiva enzimatica promettente nell'ipofosfatasia

     
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    Fonte: http://malattierare.regione.veneto.it/
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    RISCHIO CLINICO in ETA' PEDIATRICA: gli ERRORI TERAPEUTICI nell’EMERGENZA.

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    RISCHIO CLINICO in ETA' PEDIATRICA: gli ERRORI TERAPEUTICI nell’EMERGENZA.
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    L’American Institute of Medicine ha stimato che negli USA gli errori terapeutici, incluse le automedicazioni,  uccidono ogni anno 7.000 persone. Sebbene i bambini siano generalmente più sani degli adulti, essi sono esposti tre volte di più ad errori terapeutici potenzialmente pericolosi a causa della necessità di personalizzare la dose del farmaco in base al peso corporeo e all’età, e questo è ancor più vero in un setting che richieda velocità decisionale, tempo ridottissimo per la preparazione ed alto stress, come accade in un dipartimento d’emergenza-urgenza.
    La vulnerabilità del paziente pediatrico può essere riassunta in quattro D:

    • Developmental change (continuo cambiamento evolutivo, immaturità del sistema immunitario e di molti organi)
    • Dependence on adults (dipendenza da un adulto per la gestione della propria terapia e quindi mancanza della cosiddetta “ultima barriera prima dell’errore”)
    • Different disease epidemiology (per molte patologie non esistono farmaci specifici per l’età pediatrica e bisogna utilizzare le formulazioni per l’adulto)
    • Demographic characteristics
    Tra il 2007 e il 2009 il National Health Service (NHS) inglese ha condotto un’indagine su scala nazionale per studiare il fenomeno degli errori in campo pediatrico. I dati riportati hanno evidenziato che il 79% degli incidenti riguardanti i bambini ed il 94% di quelli che hanno coinvolto i neonati si sono verificati in reparti di area critica. Benchè la maggior parte di questi incidenti non abbia provocato danni rilevanti, tra le segnalazioni di morte sono stati riscontrati errori prevenibili ed evitabili nel 20-30% dei casi. Gli errori più frequenti sono quelli relativi ai dosaggi dei farmaci, ed i reparti più a rischio sono rappresentati dalle Terapie Intensive Neonatali e Pediatriche. In particolare, gli eventi avversi possono riguardare tutte le fasi della gestione terapeutica, dalla prescrizione alla trascrizione, dalla preparazione alla somministrazione del farmaco al monitoraggio successivo.
    E’ molto importante conoscere il peso del bambino perché la somministrazione dei farmaci in base all’età è di solito meno precisa, con alcune eccezioni legate al neonato, nel quale l’elevata percentuale di acqua corporea (75-80%), la bassa percentuale di tessuto adiposo e l’incompleto sviluppo e funzione di alcuni organi  possono influenzare la distribuzione di certi farmaci. Al di fuori dell’età neonatale, il fattore più importante nella somministrazione di un farmaco rimane il peso corporeo, che va rilevato ogni volta sia possibile a causa della notevole variabilità di questo parametro: per esempio, un bambino di 6 anni può pesare in media dai 19 ai 30 kg! E’ ovvio che in una situazione d’emergenza può non essere possibile pesare il bambino, ma nella maggior parte dei casi il peso riferito dai genitori è attendibile. Un altro metodo può essere quello di calcolare il peso ideale in base alla lunghezza del bambino, servendosi delle tavole dei percentili. Anche per i bambini obesi la dose farmacologica deve riferirsi al peso ideale, perché essi hanno un minore volume extracellulare in proporzione al peso e quindi un minore volume di distribuzione: minore è il volume di distribuzione, maggiore la concentrazione del farmaco nei diversi distretti.
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    Determinato il peso e controllato il dosaggio pro-chilo raccomandato, bisogna calcolare la dose richiesta. E’ utile servirsi di una calcolatrice per ridurre il rischio di errore; è stato dimostrato che l’uso di un programma computerizzato o di altri dispositivi elettronici per calcolare i dosaggi dimezza gli errori di prescrizione. Dunque, attenzione agli errori nei calcoli, alle formulazioni diverse dello stesso farmaco che contengono concentrazioni differenti, alle diluizioni (soprattutto per quanto riguarda le terapie per via endovenosa), ai farmaci con nomi simili. Il 10% dei fogli di dimissione dal Pronto Soccorso contiene errori di prescrizione; le istruzioni solo verbali non sono efficaci e le barriere linguistiche e culturali possono comportare un’inadeguata comprensione delle stesse anche se scritte, quindi accertarsi sempre che il destinatario abbia capito, chiedendo di ripetere quello che avete detto/scritto, soprattutto per quanto riguarda la ricostituzione degli sciroppi (rischio di sovra/sottodosaggio); anche la differente dimensione del cucchiaio di casa può comportare problemi di dosaggio (es. sovradosaggio cronico di paracetamolo). Gli errori prescrittivi sembrano essere più frequenti per i pazienti visitati tra le 4 e le 8 del mattino o durante i fine- settimana.      
    Particolarmente numerosi sono gli errori concernenti le terapie per via endovenosa. Ad esempio la gentamicina, che viene abitualmente somministrata nel trattamento delle sepsi neonatali, ha un range terapeutico molto ristretto: dosi basse sono inefficaci, dosi elevate sono oto e nefrotossiche.
    Uno dei più temibili errori di dosaggio in cui si può incorrere e che può essere fatale è il cosiddetto “tenfold error”, ossia la somministrazione di una dose di farmaco 10 volte superiore a quella prescritta: errori di questo tipo sono stati descritti per penicillina, digossina, teofillina, adrenalina, ciclosporina, vancomicina, sodio bicarbonato. Ad esempio 1.5 mg viene interpretato come 15 mg. La farmacopea USA raccomanda di omettere sempre lo 0 decimale dopo il punto (1, e non 1.0), mettere sempre lo 0 decimale prima del punto (0.5, e non .5), e arrotondare tutti i chemioterapici alla decina (20.4 diventa 20); da noi si utilizza la virgola, che risulta essere sicuramente più visibile.
    Altri errori possono riguardare la velocità di infusione del farmaco, la somministrazione di  farmaci scaduti o l’utilizzo dei farmaci LASA (LookAlike/SoundAlike), ossia quei farmaci che possono essere facilmente scambiati con altri per la somiglianza grafica e/o fonetica del nome e/o per l’aspetto simile, nella forma e nel colore, delle confezioni. 
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    Cosa possiamo fare?

    • Applicare sempre la regola delle  6 G:
    1. Giusto paziente
    2. Giusto farmaco
    3. Giusta dose
    4. Giusta via di somministrazione                            
    5. Giusto orario
    6. Giusta registrazione
    • Adottare  la scheda unica di terapia
    • Evitare l’utilizzo di sigle, acronimi e abbreviazioni
    • Non disturbare l’infermiere durante la fase di preparazione e somministrazione del farmaco
    • Prevedere un double check almeno prima della somministrazione di farmaci ad alto livello di attenzione
    • All’atto della dimissione fornire al paziente informazioni scritte e dettagliate
    • Diffondere nei reparti le liste dei farmaci LASA
    • Sviluppare un sistema interno di segnalazione degli eventi avversi (anche i “near misses”)
    Valeria Tromba, Associate Editor MedEmIt, Dirigente medico UOC Pediatria d'Urgenza e Terapia intesiva pediatrica. Policlinico Umberto I, Roma.  1) Kaushal R, Bates DW, Landrigan C, et al. Medication errors and adverse drug events in pediatric inpatiens. JAMA 2001; 285.2114-20. 2) Ministero della salute “Progetto farmaci LASA e Sicurezza dei pazienti”















    "L'autocontrollo nelle persone con diabete. Per un buon equilibrio glicemico e finanziario"

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    "L'autocontrollo nelle persone con diabete. Per un buon equilibrio glicemico e finanziario"

    Il 14 maggio scorso è stato presentato il Protocollo per il diabete sottoscritto dalle Comunità Scientifiche e dalle numerose Associazioni di persone diabetiche presenti: si tratta di un documento che segna una 'svolta' presentato e discusso con il Ministro della Salute, On. Beatrice Lorenzin, che si sta notevolmente impegnando a favore dei pazienti diabetici, alla presenza di Nicola Zingaretti, Presidente della Regione Lazio, Salvatore Caputo di Diabete Italia Onlus, Emanuela Baio del Comitato Nazionale per i Diritti della Persona con Diabete oltre a un’ampia Delegazione di Assessori regionali alla Salute e alla folta Rappresentanza di Associazioni Nazionali di persone diabetiche e Categorie Mediche e Sanitarie che nutrono notevole interesse per questo nuovo documento.


    Il nuovo Protocollo fissa con certezza un nuovo passo avanti nel diritti delle persone diabetiche
    : garantisce, infatti un’equa diffusione e distribuzione degli strumenti per l’autocontrollo domestico della glicemia, abbattendo le ultime barriere regionali che ancora ne impedivano la diffusione omogenea in tutto il territorio nazionale. Il Protocollo garantisce che tali strumenti diventino parte integrante del percorso di una persona diabetica, essendo essenziali per ottenere e mantenere una stabilità e un buon controllo della glicemia insieme - quando le condizioni del diabetico lo necessitino - ai canonici farmaci: ipoglicemizzanti orali, insulina e altre categorie di medicine.
    Come riportato nel testo stesso del Protocollo disponibile per tutti (vedi sotto), l’importanza del controllo della glicemia nell’evoluzione del diabete è una necessità imprescindibile senza la quale ogni persona diabetica va incontro a un notevole rischio di complicazioni patologiche anche molto pesanti sia per la salute e la qualità di vita della persona diabetica e dei suoi familiari sia per i costi dell’assistenza alla malattia a carico della sanità pubblica. Ecco dunque l’importanza storica di questo Protocollo che corona la volontà e l’impegno da parte di tutte le associazioni di persone diabetiche e di Diabete Italia, l’organizzazione che raccoglie medici, operatori sanitari professionisti, associazioni di persone con diabete.
    Un altro passaggio di valore previsto nel nuovo Protocollo d’intesa riguarda la revisione e supervisione tecnica e scientifica per quanto concerne l’affidabilità e l’efficienza nonché la conformità biomedicale degli strumenti per il controllo della glicemia:  microinfusori, sensori glicemici dispensati dal Servizio Sanitario Nazionale, così da evitare in modo perentorio l’introduzione di strumentazioni convenienti dal punto di vista economico ma scadenti in termini di risultato per i diabetici. E anche questo rappresenta un ulteriore passo avanti per il rispetto dei diritti dei diabetici.
    Infine, il Ministro della Salute Lorenzin ha espressamente dichiarato la sua volontà, determinazione e impegno a eliminare ogni disparità o ingiustizia commessa nei confronti dei diabetici anche su farmaci e strisce per l’auto-check della glicemia, e in questo senso diventa prioritario bloccare le gare regionali ai prodotti di qualità inferiore arrivando a stabilire un prezzo di riferimento nazionale e un’authority per la qualità e la sicurezza: una sorta di AIFA dei dispositivi. La richiesta del Ministro è quella di impegnarsi tutti per garantire la sicurezza e la qualità dei presidi per i diabetici: serve mettersi intorno a un tavolo di lavoro per arrivare a soluzioni concrete e valide per tutti.
    Ecco il testo integrale del Protocollo d’intesa del 14 maggio 2014
    - IL PROTOCOLLO (14.5.2014) »
    FONTE: http://www.diabete.com/



    MALATTIA DI KUFS

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    MALATTIA DI KUFS Compresa : CEROIDOLIPOFUSCINOSI
    Codice esenzione : RFG020

    Definizione
    La malattia di Kufs e la forma adulta di ceroido-lipofuscinosi neuronale, che insorge di solito prima dei 40 anni ed e caratterizzata da progressiva degenerazione neuronale, deposito abnorme di lipofuscina nel sistema nervoso centrale e diminuzione della spettanza di vita. A differenza delle altre forme di ceroido-lipofuscinosi neuronale, questa non provoca cecita.
    (Dorland's Illustrated Medical Dictionary, 29th Edition).
     
    Segni e sintomi
    La malattia di Kufs e la forma ad esordio adulto delle ceroido-lipofuscinosi neuronali (NCL); e una forma rara e scarsamente caratterizzata.
    Oltre che per l'eta di esordio, la malattia di Kufs differisce clinicamente dalle altre NCL in quanto manca la degenerazione retinica e la cecita. Ne sono stati descritti due fenotipi clinici: uno caratterizzato da convulsioni tonico-cloniche che si sviluppano intorno ai 30 anni con successive epilessie miocloniche, atassia e disartria, e l'altro dominato da sintomi neuropsichiatrici, compresi disturbi del comportamento e demenza.
    La demenza e caratterizzata da una insorgenza graduale, da un decorso progressivo e da deficit della memoria episodica, della funzione esecutiva e delle abilita visivospaziali. Queste manifestazioni e il quadro di disfunzione cognitiva, quindi, si sovrappongono a quelle delle piu comuni malattie neurodegenerative, compresa la malattia di Alzheimer. La demenza puo essere il sintomo di presentazione della malattia di Kufs oppure puo non manifestarsi fino alla settima decade di vita. La diagnosi clinica della malattia di Kufs, da differenziarsi dalle forme ad esordio precoce della malattia di Alzheimer e da altre demenze, si pone con un alto indice di sospetto quando i primi sintomi di demenza sono accompagnati da disturbi motori e convulsivi. La diagnosi finale e confermata dall'esame del tessuto cerebrale che dimostra il caratteristico materiale di accumulo nei neuroni. Anche biopsie extracerebrali di cellule della cute, del retto, della congiuntiva e del muscolo mostrano questo accumulo e cio supporta la diagnosi clinica. Tuttavia, non vi sono descrizioni sulle sensibilita e specificita dei risultati delle biopsie extracerebrali per la diagnosi di malattia di Kufs.
    (Josephson SA et al. Autosomal dominant Kufs' disease: a cause of early onset dementia. J Neurol Sci 2001 Jul 15;188(1-2):51-60)
     
    Storia naturale
    In una rassegna di 118 casi di probabile malattia di Kufs, Berkovic et al. stabilirono che solo 50 erano i casi accertati; i restanti sembravano rappresentare altri disordini da accumulo neuronale, come la sialidosi tipo II e la malattia di Niemann-Pick di gruppo II.
    In questi 50 casi i sintomi esordivano tra gli 11 e i 50 anni, con un decorso medio della malattia di 12,5 anni. La perdita visiva e l'atrofia ottica erano di raro riscontro, ed in combinazione con l'eta avanzata all'esordio permettevano di distinguere clinicamente la Kufs dalle altre NCL. Il decorso clinico era dominato o da convulsioni e mioclono (tipo A) o da demenza e disfunzione extrapiramidale e cerebellare (tipo B). Le convulsioni si vedevano raramente nel tipo B e solo come fenomeno tardivo, mentre le anomalie motorie erano presenti nel tipo B solo in fase terminale.
    I livelli di dolicolo nel sedimento urinario erano elevati in entrambi i tipi, suggerendo possibili difetti nella processazione intracellulare delle membrane lisosomiali.
    Sono state descritte solo 2 famiglie in cui la malattia di Kufs si e trasmessa con modalita autosomica dominante. In una famiglia vi erano 11 membri affetti in 4 generazioni, con un'eta all'esordio di 32 anni. La manifestazione iniziale era la disfunzione cerebellare, seguita da convulsioni generalizzate e da demenza progressiva accompagnata da mioclono. La durata media della malattia era di 7 anni.
    Le manifestazioni patologiche comprendevano perdita neuronale ed accumulo di un particolare lipopigmento nei neuroni residui. All'esame ultrastrutturale apparentemente non erano presenti quadri curvilineari o ad impronta digitale.
    La seconda famiglia comprendeva 6 individui affetti in due generazioni con una eta all'esordio dai 33 ai 37 anni. La malattia era caratterizzata soprattutto da demenza progressiva e da movimenti involontari della faccia e del collo. Un individuo affetto aveva anche convulsioni. L'esame delle biopsie cerebrali mostrava modesta perdita neuronale e accumulo di un prodotto granulare che assomigliava alla lipofuscina, con occasionali profili rettilinei compatti densi, ma senza immagini curvilineari o ad impronta digitale.
    (Josephson SA et al. Autosomal dominant Kufs' disease: a cause of early onset dementia. J Neurol Sci 2001 Jul 15;188(1-2):51-60)
     
    Eziologia
    In uno studio su una serie di casi, la malattia di Kufs rappresentava solo l'1,3 percento di tutte le NCL. Non sorprende, data la scarsita di casi ben caratterizzati, che siano frequenti gli errori diagnostici e che i difetti genetici e biochimici che ne stanno alla base rimangano sconosciuti.
    Dei 50 casi di malattia di Kufs raccolti in una review comprensiva, 16 furono considerati sporadici e 34 sembravano familiari: la maggioranza con trasmissione autosomica recessiva, mentre due casi erano autosomici recessivi. A differenza della maggior parte delle altre NCL, il difetto genetico e biochimico di questa malattia rimangono sconosciuti.
    Per definire piu pienamente questa forma di NCL ad insorgenza in eta adulta, sono necessarie ulteriori ricerche, sia dal punto di vista fenotipico che genetico.
    (Josephson SA et al. Autosomal dominant Kufs' disease: a cause of early onset dementia. J Neurol Sci 2001 Jul 15;188(1-2):51-60)
     
    Diagnosi
    La malattia di Kufs non e diffusamente nota tra i medici. La sua caratteristica combinazione di declino intellettuale progressivo, convulsioni ed alterazioni motorie in eta matura dovrebbe subito essere presa in considerazione nella diagnosi differenziale di una demenza ad esordio precoce.
    (Josephson SA et al. Autosomal dominant Kufs' disease: a cause of early onset dementia. J Neurol Sci 2001 Jul 15;188(1-2):51-60)
     
    Bibliografia
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    Autosomal dominant Kufs' disease: a cause of early onset dementia.
    J-Neurol-Sci. 2001 Jul 15; 188(1-2): 51-60
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    A 54-year-old man with action myoclonus, parkinsonism and epilepsy
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    J-Neuroradiol. 1996 Jun; 23(1): 33-7
    Larner,-A-J
    Alzheimer's disease, Kuf's disease, tellurium and selenium.
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    MALATTIA DI REFSUM

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    clip_image001 MALATTIA DI REFSUM

    Compresa : NEUROPATIE EREDITARIE
    Codice esenzione : RFG060

    Definizione
    Malattia familiare autosomica recessiva con esordio generalmente infantile caratterizzata da polineuropatia, sordita neurosensoriale, ittiosi, atassia, retinite pigmentosa e cardiomiopatia. Le proteine del liquido cerebrospinale e l'acido fitanico sierico sono di solito elevati.
    Questa condizione e associata ad alterato metabolismo dell'acido fitanico nei perossisomi. (From Joynt, Clinical Neurology, 1991, Ch37, p58-9; Rev Med Interne 1996;17(5):391-8)
    Medline Thesaurus

    Segni e sintomi
    La malattia di Refsum non deve essere confusa con la cosiddetta malattia infantile di Refsum. Entrambe sono malattie dei perossisomi, ma le basi biochimiche e genetiche sono completamente differenti. Il termine malattia infantile di Refsum viene correntemente usato per descrivere un sottoinsieme di pazienti con un difetto nell'assemblaggio dei perossisomi caratterizzato da una sopravvivenza maggiore. La patologia descritta da Refsum viene ora comunemente chiamata malattia di Refsum classica.
    Come originariamente descritto da Sigvald Refsum, tutti i pazienti con questa patologia presentano quattro manifestazioni cliniche caratteristiche: retinite pigmentosa, polineuropatia periferica, atassia cerebellare e un alto contenuto proteico nel liquor cerebrospinale senza un aumento del numero di cellule (dissociazione albuminocitologica). Nella maggio parte dei casi vengono registrate anche caratteristiche aggiuntive come il coinvolgimento cardiaco, deficit uditivi di tipo neurogeno, cambiamenti della cute e malformazioni dello scheletro. Sono state descritte anche anosmia, anomalie pupillari e cataratta. I soggetti con eterozigosi per la malattia di Refsum di solito non presentano i segni o i sintomi clinici neurologici e generalmente hanno normali livelli plasmatici di acido fitanico.
    Segni oculari
    La degenerazione retinica pigmentata (degenrazione tapetoretinica o retinite pigmentosa) e la cecita notturna sono presenti in tutti i casi. Frequentemente i pazienti lamentano cecita notturna molti anni prima che compaiano altri sintomi clinici. Il disturbo della funzione visiva, spesso in associazione con anosmia, e spesso la prima manifestazione clinica della malattia. Nei bambini tuttavia e difficile valutare la cecita notturna. L'elettroretinografia, che evidenzia una riduzione o una completa assenza delle risposte dei coni e dei bastoncelli, puo essere di grande aiuto nel supportare la diagnosi negli stadi precoci. Con il passare degli anni, si sviluppa gradualmente una costrizione concentrica del campo visivo fintanto che rimane solo la visione tubulare. L'aspetto delle manifestazioni oculari puo essere di vario tipo e puo dipendere dallo stadio di sviluppo della malattia. Spesso la degenerazione retinica pigmentosa con tipico aspetto a 'spicola ossea' e assente e la pigmentazione appare come sottile granulazione o ha l'aspetto a 'sale e pepe'. In alcuni casi, il disturbo retinico e caratterizzato dalla cosi detta retinite pigmentosa senza pigmento. La visione centrale puo essere normale o solo lievemente menomata per lungo tempo. Talvolta tuttavia possono contribuire alla perdita visiva l'atrofia ottica, la cataratta e l'opacita del corpo vitreo. E' stato indicato che dal 4 al 5% dei pazienti con retinite pigmentosa possono avere la malattia di Refsum. Poiche esiste un trattamento efficace, e importante considerare questa diagnosi in tutti i pazienti con retinite pigmentosa. E' questa caratteristica clinica, in particolare, che puo essere arrestata se viene istituito un trattamento dietetico precoce. La degenerazione retinica sembra essere dovuta all'eccessivo deposito di acido fitanico nel tessuto oculare. L'esame patologico rileva una quasi completa assenza dei fotorecettori, assotigliamento dello strato nucleare interno e la riduzione del numero delle cellule gangliari della retina. La perdita visiva non e dovuta solamente alla retinite pigmentosa e alla cataratta, ma anche alla miosi e alla scarsa reazione pupillare alla luce e talvolta anche all'accomodazione-convergenza. Il nistagmo, di solito di grado moderato, viene registrato in circa un quarto dei pazienti.
    Polineuropatia

    Sebbene non sia sempre presente clinicamente all'inizio della malattia, la polineuropatia cronica o progressiva e una caratteristica ben riconosciuta nella malattia di Refsum. Talvolta una disfunzione visiva e uditiva la precedono di diversi anni. La polineuropatia della malattia di Refusm e di tipo misto, motoria e sensitiva, simmetrica e inizialmente colpisce principalmente le porzioni distali degli arti inferiori con atrofia muscolare, debolezza e disturbi sensitivi. Se non trattata ha un decorso cronico e progressivo. Tuttavia negli stadi precoci i sintomi possono aumentare e diminuire. Con il passare del tempo la debolezza muscolare puo diventare diffusa e disabilitante, coinvolgendo entrambe gli arti e la muscolatura del tronco. Quasi senza eccezioni, i pazienti affetti hanno disturbi sensitivi periferici. Nella maggior parte dei casi viene ad essere colpita la sensibilita profonda in particolar modo la sensibilita pallestesica e posizionale nelle parti distali degli arti inferiori. Alcuni pazienti hanno anche perdita della sensibilita superficiale (iperestesia cutanea a guanto e a calzino). Talvolta vengono registrate parestesie, disestesie e dolore spontaneo. I nervi periferici (per lo piu l'ulnare, il peroneale ed il grande auricolare) possono essere ingrossati in modo apprezzabile e non mobili. L'esame clinico neurologico evidenzia nella maggior parte dei casi perdita dei riflessi profondi; generalmente le risposte plantari sono in flessione o assenti. Gli studi neurofisiologici rilevano una velocita di conduzione nervosa sensitiva ridotta. Queste riduzioni talvolta sono molto marcate.
    Riscontri cerebellari
    La prevalenza di disturbi cerebellari nei pazienti con la malattia di Refsum e stata discussa per molti anni. Refsum stesso ha osservato anomalie cerebellari tra i principali segni clinici della malattia. Va comunque sottolineato che i disturbi cerebellari si presentano tardivamente soprattutto se confrontati con la retinopatia e la neuropatia. Cio nondimeno oscillazioni dell'andatura sono state riportate in diversi pazienti affetti. L'atassia e caratteristicamente piu marcata rispetto a quanto la debolezza muscolare e la perdita sensitiva potrebbero suggerire. In diversi casi sono stati riscontrati il nistagmo di origine cerebellare ed il tremore intenzionale.
    Caratteristiche cliniche aggiuntive
    Alterazioni dei nervi cranici. Sono spesso interessati sia il nervo olfattivo che il nervo acustico. In molti pazienti infatti l'anosmia e, insieme alla retinite pigmentosa, una manifestaizone clinica molto precoce. La perdita udititva e di tipo cocleare e puo essere quasi completa. La funzione vestibolare generalmente non e menomata. Il coinvolgimento di altri nervi cranici e estremamente raro.
    Manifestazioni cardiache. La morte improvvisa tra i pazienti con la malattia di Refsum e correlata a disfunzioni cardiache primitive. Sono frequenti riscontri di cardiomiopatia con cardiomegalia, insufficienza cardiaca, disturbi della conduzione ed alterazioni elettrocardiografiche.
    Malformazioni scheletriche. Viene riscontrato frequentemente un accorciamento o un allungamento delle ossa metatarsali, in particolare del terzo e quarto metatarso. Sono state registrate sindattilia, dita od ossa metacarpali corte ed allargate e dita dei piedi a martello.
    Alterazioni della cute. Il coinvolgimento della cute e altamente variabile. Alcuni pazienti non sviluppano mai alterazioni cutanee, mentre in altri rappresentano una delle prime manifestazioni cliniche. Tali alterazioni variano da lieve secchezza della cute, soprattutto a livello del tronco, alla ittiosi florida. Le manifestazioni piu accentuate sono state evidenziate nei bambini, mentre il coinvolgimento cutaneo negli adulti e generalmente meno severo. Rimane incerta la patogenesi di queste alterazioni. (C. Scriver et al., The Metabolic and Molecular Bases of Inherited Disease, Eighth Edition)

    Storia naturale
    La malatta di Refsum puo avere l'esordio precocemente nell'infanzia fino alla terza o quarta decade di vita. Nella maggior parte dei pazienti, tuttavia, le manifestazioni cliniche cominciano nella seconda decade. Secondo studi recenti, dal 25 al 49% dei pazienti avverte i primi sintomi prima dei dieci anni, e dal 50 fino al 75% prima dei vent'anni. Un esordio precoce della malattia non indica necessariamente una prognosi particolarmente sfavorevole relativamente al corso della vita. Alcuni pazienti sono rimasti asintomatici fino all'eta adulta. L'esordio e insidioso e per molti pazienti e difficile sapere quando e iniziata la malattia. La retinite pigmentosa e comunque nella maggior parte dei casi, una caratteristica clinica molto precoce, e se vengono raccolte storie cliniche dettagliate dei pazienti, in molti casi risultera che essi, nell'infanzia, soffrivano di cecita notturna.
    La prognosi dei pazienti non trattati e sfavorevole. Il trattamento dietetico ha ampiamente cambiato il corso naturale della patologia. Nei pazienti che rispondono al trattamento con una caduta dei livelli plasmatici dell'acido fitanico, la neuropatia periferica si stabilizza e puo anche migliorare. Come risultato del miglioramento dei paramentri neurofisiologici, si potranno riscontrare un aumento della forza muscolare, un miglioramento dell'andatura e una riduzione dei deficit sensitivi. Altre caratteristiche cliniche, come la retinite pigmentosa, i deficit uditivi, la cardiomiopatia e le manifestazioni cutanee, traggono miglioramento piu difficilmente. Tuttavia il trattamento con la dieta sembra fermare la progressione dei deficit uditivi e visivi. Nei pazienti con trattamento dietetico associato a significativo abbassamento del livello serico dell'acido fitanico, non ci sono state ricadute cliniche e la condizione di benessere e le condizioni generali dei pazienti sono state assai buone. E' ragionevole credere che l'efficacia della dieta sia destinata ad aumentare nel tempo data la sua precoce istituzione. Una volta che la demielinizzazione e estesa, il ripristino della funzione e poco probabile anche se la progressione viene arrestata. Deve essere fatto ogni sforzo per stabilire il piu precocemente possibile la diagnosi e per istituire il relativo trattamento. (C. Scriver et al., The Metabolic and Molecular Bases of Inherited Disease, Eighth Edition)

    Eziologia
    Come evidenziato inizialmente da Klenk e Kahlke nel 1963, la malattia di Refsum e associata all'accumulo di un acido grasso a catena ramificata a 20 atomi di carbonio chiamato acido fitanico (acido 3,7,11,15-tetrametilesadecanoico) nel sangue e nei tessuti. Questi riscontri hanno identificato la malattia di Refsum come un errore congenito del metabolismo dei lipidi ereditato come carattere autosomico recessivo. L'acido fitanico e un acido grasso 3-metilato che non puo essere beta-ossidato direttamente. Il meccanismo principale con cui l'acido fitanico viene degradato coinvolge una iniziale alfa-ossidazione con cui viene generato l'omologo a 19 atomi di carbonio (n-1), l'acido pristanico (acido 2,6,10,14-tetrametilpentadecanoico), e CO2. L'acido pristanico e un acido grasso 2-metilato che puo essere degradato tramite beta-ossidazione.
    Il meccanismo preciso con cui l'acido fitanico viene alfa-ossidato e rimasto oscuro fino alla recente scoperta dell'enzima fitanoil-CoA idrossilasi, che catalizza l'idrossilazione del fitanoil-CoA al 2-idrossifitanoilCoA, reazione che richiede 2-ossoglutarato, Fe 2+ e ascorbato (vitamina C). Sono stati identificati anche i passi successivi della alfa-ossidazione che includono l'enzima 2-idrossifitanoil-CoA liasi che porta alla produzione di pristanal e formil-CoA e l'aldeide deidrogenasi che catalizza la formazione di acido pristanico dal pristanal.
    Studi in vivo ed in vitro hanno evidenziato che l'alfa-ossidazione dell'acido fitanico e gravemente deficitaria nei pazienti con la malattia di Refsum. Studi recenti evidenziano che in tutti i casi di pazienti con la malattia di Refsum classica studiati finora, l'enzima deficitario risulta essere la fitanoilCoA idrossilasi a causa di mutazioni nella struttura del gene che codifica per questo enzima. La fitanoilCoA idrossilasi e deficitaria anche in altre disfunzioni della biogenesi dei perossisomi quali la sindrome di Zelklweger, l'adrenoleucodistrofia neonatale, la malattia di Refsum infantile e la condrodisplasia rizomelica puntata di tipo 1. In queste ultime patologie la carenza di fitanoil-CoA idrossilasi e secondaria alla disfunzione della biogenesi dei perossisomi a causa di mutazioni in una dei geni coinvolti nella biogenesi dei perossisomi. Negli uomini l'acido fitanico non puo essere sintetizzaato de novo, ma e esclusivamente di origine esogena. L'acido fitanico introdotto con la dieta risulta esserne la fonte maggiore. I latticini, la carne, i grassi che originano da animali ruminanti ed il pesce sono alimenti ricchi di acido fitanico. Anche il fitolo e una fonte di questa sostanza dal momento che puo essere convertito prontamente in acido fitanico, sebbene il fitolo presente nella clorofilla, fonte principale di fitolo introdotto con la dieta, sia scarsamente assorbito.
    Sebbene si sia appreso molto riguardo alle basi biochimiche dell'accumulo di acido fitanico, meno e conosciuto riguardo al meccanismo tramite cui l'accumulo di acido fitanico porti alle manifestazioni cliniche della malattia di Refsum. Sono state proposte diverse ipotesi tra cui la distorsione molecolare, l'ipotesi degli antimetaboliti e l'ipotesi della 'doppia funzione'. Inoltre, e stato proposto che l'acido fitanico possa interferire con la genesi delle proteine prenilate con conseguenza negative per la loro funzione. Evidenze sempre maggiori indicano che la modificazione covalente delle proteine operata dalla coniugazione con il farnesil pirofosfato o con il geranilgeranil pirofosfato sia essenziale per la loro funzione. Questa modificazione covalente permette alle proteine di associarsi alle membrane e di svolgere la loro funzione. Poiche l'acido fitanico ha una struttura simile, comparato ai gruppi farnesile e geranilgeranile che sono attaccati in modo covalente alle proteine, e stato suggerito che l'acido fitanico possa inibire gli enzimi catalizzando la prenilazione delle proteine bersaglio. Tale ipotesi tuttavia necessita di supporto sperimentale. Studi recenti hanno messo luce sulle conseguenze fisiologiche degli elevati livelli di acido fitanico poiche e emerso che l'acido fitanico e un efficace regolatore dell'espressione dei geni grazie alla sua capacita di attivare alcuni recettori nucleari. (C. Scriver et al., The Metabolic and Molecular Bases of Inherited Disease, Eighth Edition)

    Diagnosi
    La diagnosi si basa sulla combinazione di caratteristiche cliniche (retinite pigmentosa, atassia cerebellare e polineuropatia cronica) associate ad un aumento dell'acido fitanico nel sangue. La cardiomiopatia e la sordita neurosensoriale sono presenti nella maggior parte dei pazienti; possono venire registrate anche anomalie pupillari, cataratta, cambiamenti cutanei caratterizzati da ittiosi (in particolar modo nella faccia anteriore delle gambe). La diagnosi clinica e confermata dal riscontro di acido fitanico nel sangue: il livello normale e inferiore ai 0.3 mg/dL, nei pazienti con la malattia di Refsum esso costituisce dal 5 fino al 30% degli acidi grassi totali dei lipidi serici. (Adams et al. Principles of Neurology. 2001)
    La diagnosi della malattia di Refsum dovrebbe essere fatta sulla base della dimostrazione dell'accumulo isolato di acido fitanico nel plasma associato allo studio colturale dei fibroblasti cutanei per stabilire l'alfa-ossidazione dell'acido fitanico e l'attivita deficitaria della fitanoil-CoA idrossilasi. (C. Scriver et al., The Metabolic and Molecular Bases of Inherited Disease, Eighth Edition)

    Terapia
    L'idea che l'acido fitanico, che viene accumulato nella malattia di Refsum, fosse di origine esogena, ha portato al tentativo di trattare i pazienti attraverso la dieta. L'eliminazione dell'acido fitanico e dei suoi precursori dalla dieta dovrebbe prevenire un ulteriore accumulo e poiche la maggior parte dei pazienti mantiene una certa capacita di degradare l'acido fitanico, dovrebbe anche essere possibile ridurre le riserve corporee. Dopo l'istituzione del trattamento dietetico, i livelli di acido fitanico inizialmente possono aumentare. Infatti la diminuzione dell'acido fitanico nel plasma puo avvenire dopo mesi dall'inizio della dieta. Questo indica che i depositi tissutali sono mobilizzati quando l'apporto e ridotto. Nel corpo, l'acido fitanico e presente principalmente nei fosfolipidi e nei trigliceridi delle varie lipoproteine. Nei lipidi epatici puo arrivare a costituire fino al 50% degli acidi grassi, una concentrazione piu alta di quella riscontrata nel plasma. Quindi se i lipidi epatici sono mobilizzati, il livello dell'acido fitanico talvolta puo aumentare in modo considerevole. La percentuale di acido fitanico nel tessuto adiposo e piu bassa (dall'1 al 5% degli acidi grassi totali). Se i lipidi del tessuto adiposo vengono mobilizzati rapidamente, la percentuale di acido fitanico nel plasma non aumentera immediatamente e talvolta puo anche diminuire mentre le concentrazioni assolute aumentano. Per questa ragione viene raccomandato di monitorare la risposta alla dieta in termini di acido fitanico assoluto (mg/dl) e acido fitanico relativo (percentuale degli acidi grassi totali). D'altra parte anche se la percentuale di acido fitanico nel tessuto adiposo e bassa, e qui che viene localizzata la maggior parte del contenuto di acido fitanico. Per cui la mobilizzazione di acido fitanico da enormi riserve nel tessuto adiposo e un fattore di rischio potenziale in ogni paziente con la malattia di Refsum in trattamento dietetico. Quando viene iniziato il trattamento dietetico dei pazienti con alti livelli di acido fitanico nel plasma, e importante evitare un aumento del flusso dalle riserve corporee. La dieta deve fornire calorie sufficienti a mantenere il peso corporeo costante. Se l'apporto calorico viene ridotto e i pazienti cominciano a perdere peso, puo esservi un aumento paradosso nel plasma di acido fitanico con una associata ricaduta clinica. Sono potenziali fattori di rischio anche vari eventi stressanti quali gravidanza, interventi chirurgici, infezioni o altre malattie intercorrenti associati ad un apporto calorico ridotto.
    Prescrizioni dietetiche
    Nel trattamento dei pazienti con la malattia di Refsum e necessario ridurre drasticamente l'apporto di tutte le fonti di acido fitanico. La conoscenza della prevalenza dell'acido fitanico nei diversi lipidi e ancora limitata. E ragionevole pensare che alcuni lipidi naturali non contengano acido fitanico e che tali lipidi possano essere inclusi nella dieta. Va ricordato anche che lo stesso cibo puo contenere diverse quantita di acido fitanico nelle diverse aree geografiche. Quest'ampia variabilita geografica e probabilmente anche stagionale all'interno dello stesso paese rende difficile suggerire una linea dietetica generale. Di particolare importanza sono tuttavia tutti i tipi di latticini, i grassi e la carne derivati da animali ruminanti. Queste sono le maggiori fonti di acido fitanico e devono essere eliminate dalla dieta. I vegetali a foglia verde furono inizialmente esclusi dalla dieta. Questo avvenne perche il fitolo nella clorofilla puo essere assorbito e convertito ad acido fitanico. Il fitolo legato alla clorofilla tuttavia e liberato solo in piccola quantita nell'intestino ed e probabilmente una fonte di minor importanza. Per questa ragione l'esclusione di vegetali a foglia verde non e necessaria sebbene la cottura possa rilasciare del fitolo legato. Livelli molto alti di acido fitanico (superiori ai 100 mg/dl) possono condurre a sintomi tossici e rischiosi per la vita. Come trattamento d'emergenza i pazienti con livelli molto alti di acido fitanico possono essere trattati con plasmaferesi. La plasmaferesi periodica puo essere utile come complemento all'ordinario trattamento dietetico. Questa combinazione e risultata essere efficace ed ha aiutato a mantenere i livelli plasmatici molto bassi. Plasmaferesi ripetute o 'plasma exchange' condotte negli stadi iniziali del trattamento con la dieta appaiono essere un modo razionale di ottenere una buona risposta iniziale. (C. Scriver et al., The Metabolic and Molecular Bases of Inherited Disease, Eighth Edition)

    Bibliografia
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    Fonte: http://malattierare.regione.veneto.it/
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    LA NUTRIZIONE PARENTERALE NEL NEONATO E NEL BAMBINO

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    nutrizione parenteraleLA NUTRIZIONE PARENTERALE NEL NEONATO E NEL BAMBINO
     
                                                                        INTRODUZIONE
    Questo modulo professionale è rivolto ad infermieri che operano in ambito pediatrico – neonatologico e che correntemente si occupano della gestione della Nutrizione Parenterale.
    La nostra esperienza professionale si svolge in una terapia intensiva neonatale e quindi l’impronta del corso affronterà in maniera più specifica gli aspetti di questa realtà.
    L’infermiere è parte integrante del Team-Nutrizione. Il suo ruolo, con l’abolizione del Mansionario, è regolamentato dal Profilo Professionale.

    L’uso ottimale della NP ha determinato una notevole riduzione della mortalità nei pazienti pediatrici affetti da malattie congenite o acquisite, così come nella gestione dei neonati prematuri. I neonati che nascono prematuramente non accumulano scorte energetiche. In alcuni di essi, vista l’incapacità di alimentarsi per via orale, le scorte energetiche possono esaurirsi in 3 -4 giorni senza l’utilizzo di NP, con conseguente carenza di Proteine, Vitamine ed Oligoelementi. Questa situazione è ad alto rischio di mortalità ed è per questo che i neonati prematuri o di basso peso alla nascita rappresentano la gran parte della popolazione pediatrica che riceve NP.
     
    INDICAZIONE ALLA NUTRIZIONE PARENTERALE
    · Basso peso alla nascita
    · Grossa chirurgia (chirurgia gastro-intestinale, post-trauma, ecc.)
    · Malattie infiammatorie intestinali (morbo di Chron, rettocol. Ulcerosa)
    · Problemi respiratori (fibrosi cistica)
    · Problemi acuti di alimentazione (pancreatine, enterocolite necrotiz.)
    · Infezioni
    · Ustioni
     
    VALUTAZIONE NUTRIZIONALE
    La valutazione nutrizionale iniziale del paziente, si effettua attraverso la rilevazione delle misure antropometriche, dello stato di idratazione e dei parametri bio-umorali.
    Nessuno di questi parametri preso singolarmente è espressione di uno stato di nutrizione normale o carente, ma confrontati fra loro, delineano con ottima approssimazione lo stato dei componenti corporei.
     
    MISURE ANTROPOMETRICHE
    Comportano la rilevazione del Peso Corporeo, dell’Altezza, della Circonferenza Cranica e della Plicometria Cutanea. Quest’ultimo parametro consiste nel rilievo, mediante apposito calibro, dello spessore della plica cutanea a livello del punto medio del braccio, in corrispondenza del Tricipite. La plicometria cutanea è un rilevamento, nella sua banalità molto delicato, in quanto si presta ad interpretazioni soggettive della misurazione. E’ quindi consigliabile che le misurazioni siano sempre eseguite da un unico osservatore. I valori del peso corporeo, dell’altezza e della circonferenza cranica vengono riportati su appositi schemi standardizzati (percentili) per determinare le curve di accrescimento.
     
    STATO DI IDRATAZIONE
    Si valuta attraverso la determinazione del bilancio idrico (calcolo delle entrate e delle uscite). Per entrate si intendono tutti i liquidi ricevuti, compresi i farmaci somministrati. Per uscite si intendono tutti i liquidi persi (urine, feci, liquidi drenati da sng o gastrostomia, perdite di sangue, liquidi di drenaggio di ferite chirurgiche).
    PARAMETRI BIO-UMORALI
    I parametri bio-umorali usati nella valutazione dello stato nutrizionale sono quelli relativi alla crasi ematica del paziente. Vengono quindi valutati gli elettroliti plasmatici, la funzionalità renale ed epatica e l’emocromo per rilevare precocemente delle eventuali alterazioni che possono verificarsi dopo inizio di NPT.
     
    SCELTA DEL TIPO DI NUTRIZIONE PARENTERALE
    Il tipo di NP da adottare risponde allo stato patologico del paziente e la sua prescrizione è di esclusiva competenza medica.
    La NP può essere distinta in :
    · NP TOTALE nel caso in cui tutto il fabbisogno calorico, proteico ed idro-elettrolitico è coperto dalla nutrizione endovenosa. Una tale nutrizione può definirsi anche COMPLETA quando si aggiungono gli oligoelementi e le vitamine.Quando si inizia una NPT la quota di glucosio deve aumentare gradualmente fino a raggiungere il pieno regime dopo 5-7 giorni. Quando si prevede invece di sospenderla è indispensabile una graduale e progressiva diminuzione dell’apporto glucidico, per passare quindi ad una nutrizione parziale.
    · NP PARZIALE quando gli apporti della nutrizione endovenosa vengono integrati con quelli della nutrizione entrale che può essere somministrata per gavage o per os. In questa fase l’I.P. deve controllare lo sviluppo della funzione orale, per promuovere ove possibile l’inizio di una alimentazione di tipo naturale.
     
    VIE DI SOMMINISTRAZIONE
    La NP può essere somministrata sia per via periferica che centrale. La scelta della via più idonea dipende dallo stato nutrizionale del paziente, dalle calorie necessarie e dal tempo di utilizzo della Nutrizione.
    Poiché l’alta osmolarità causa flebite, la soluzione di glucosio somministrata per via periferica non dovrebbe eccedere la concentrazione del 10%. La via periferica può essere utilizzata nei neonati di peso adeguato all’età gestazionale con appropriate scorte nutrizionali e che probabilmente tollereranno l’alimentazione orale in 1-2 settimane. La NP può fornire abbastanza calorie e nutrienti per sostenere adeguatamente l’organismo (glucosio, aminoacidi, lipidi). La via di infusione centrale è necessaria nel caso in cui la NP sarà somministrata per lunghi periodi, in caso di restrizioni di fluidi (più calorie e meno liquidi), o in caso di bisogno aggiuntivo di calorie (accrescimento – riparazione tissutale).
     
    SCELTA DELL’ACCESSO VENOSO
    Le sedi di accesso venoso periferico di elezione sono:
    · VENA GIUGULARE ESTERNA
    · VENA CEFALICA E BASILICA
    · VENA DEL DORSO DELLA MANO
    · VENA SAFENA
    · VENA PEDIDIA
    Le sedi di accesso venoso centrale sono:
     
    · VENA OMBELICALE (nei primi giorni di vita)
    · Vena dell’avambraccio per posizionamento catetere percutaneo fino a giungere in prossimità dell’atrio dx
    · VENA GIUGULARE con puntura diretta o con tecnica a cielo aperto
     
    TIPI DI CATETERE
    Per il cannulamento di un accesso venoso periferico, si utilizza un ago cannula di calibro adeguato al diametro della vena prescelta.
    Prima della cannulazione di un’accesso venoso centrale viene fatta una valutazione inerente il tipo di vena scelta e il peso del neonato (es : piccolo per età gestazionale), oppure il tipo di vena scelta e l’età del paziente pediatrico.
    Nei neonati o nei pretermine, per la cannulazione della vena ombelicale si utilizzano cateteri in Poliuretano di varie misure (2,5 CH – 3,5 CH – 5 CH), che possono restare in sede per 14 giorni, ma che per questioni di sicurezza nella prevenzione delle infezioni, nel nostro reparto vengono mantenuti in sede per non più di 6 giorni.
    Per l’inserimento di un catetere percutaneo attraverso l’uso di vena periferica, si utilizzano cateteri venosi centrali in Poliuretano di varie misure espresse in GAUGE. La confezione riporta sia la misura del catetere che quella dell’ago . Questo tipo di catetere può restare in sede per lunghi periodi, quindi verrà rimosso non tanto per il tempo utile trascorso, ma perché non più necessario.
    Nel caso di pazienti pediatrici, si utilizzano cateteri venosi centrali che possono essere suddivisi in:
     
    1. DISPOSITIVI PARZIALMENTE IMPIANTABILI (Broviac-Hickman)
     
    2. DISPOSITIVI TOTALMENTE IMPIANTABILI (Port)
    I primi vengono posizionati attraverso la tecnica di tunnellizzazione sottocutanea, che serve a limitare l’eventuale insorgenza di infezioni. La parte prossimale al punto di introduzione, ha un tragitto esterno. Nella parte sottocutanea il catetere è dotato di una cuffia in Dacron, che reagendo con i tessuti favorisce una reazione di granulazione che permette al catetere di auto ancorarsi.
    I secondi vengono posizionati attraverso la tecnica di tunnelizzazione sottocutanea, che serve a limitare l’eventuale insorgenza di infezioni. Il catetere venoso rimane impiantato nel sottocutaneo in tutta la sua lunghezza. Nella sua parte terminale presenta un recevoir – membrana, che può essere facilmente raggiungibile attraverso puntura diretta con ago di Huber.
     
    PROCEDURE DI INCANNULAMENTO VENOSO PERIFERICO E CENTRALE
    Nella cannulazione dell’accesso venoso periferico, l’I.P. è completamente autonomo nella individuazione della sede, del materiale necessario e del corretto fissaggio. Per la prevenzione delle infezioni è importante un accurato lavaggio delle mani, antisepsi della cute del paziente ed utilizzo di guanti non sterili.
    Nella cannulazione dell’accesso venoso centrale l’I.P. collabora con il medico. E’ di competenza infermieristica il corretto posizionamento del paziente, la preparazione del materiale occorrente, rispettando rigorosamente le regole dell’asepsi e quindi utilizzando materiale sterile per la procedura.
    Per ridurre i rischi di infezione è importante l’utilizzo di copricapo, mascherina, camice sterile.
     
    CORRETTA PREPARAZIONE DELLA SACCA E ALLESTIMENTO DELLA STESSA
    La sacca di NP viene preparata dal medico farmacista, su richiesta personalizzata stilata dal medico di reparto. Nella richiesta viene specificato:
    · Nome, cognome, età del paziente
    · Reparto, data
    · Peso
    · Patologia
    · Componenti della miscela (zuccheri, aminoacidi, lipidi)
    · Volume sacca
    · Tipo di accesso venoso (periferico o centrale)
    La preparazione avviene in apposito locale della farmacia utilizzando cappa a flusso laminare, riempitrice automatica per l’inserimento dei vari componenti della miscela, adottando una precisa successione per evitare interazioni tra loro. Lo schema di riempimento è il seguente:
    · Zuccheri
    · Aminoacidi
    · Acqua
    · Sali
    · Oligoelementi
    · Vitamine
    · Lipidi
    La sacca così preparata verrà munita di etichetta adesiva dove sono riportati tutti i dati ed inviata in reparto.
    In reparto la sacca si controlla per verificarne l’integrità e la corretta conservazione.
    Esistono 2 tipi di preparazioni:
     
    1. SACCA SENZA LIPIDI (aspetto trasparente)
     
    2. SACCA CON LIPIDI (aspetto lattescente)
    In presenza di una sacca senza lipidi bisogna accertare che non ci siano precipitati, cioè particelle in sospensione.
    In presenza di una sacca con lipidi bisogna controllare che no ci sia disomogeneità o separazione della sospensione lipidica.
    Prima di preparare la sacca per l’infusione, occorre verificare che i dati anagrafici del paziente e la composizione della miscela siano sovrapponibili alla prescrizione medica, sia sul foglio di accompagnamento che sulla cartella.
    Prima della somministrazione della nuova sacca, si prepara il nuovo set infusivo avendo cura di rispettare le regole dell’asepsi, utilizzando materiale monouso sterile.
    Si dovrebbe evitare l’utilizzo di connettori lungo la linea infusiva, ma se il loro utilizzo risultasse indispensabile, per prevenire un inquinamento microbiologico occorre utilizzare garze impregnate di disinfettante iodato o appositi presidi di protezione.
    Specificatamente in T.I.N. per la somministrazione di N.P. si utilizzano pompe infusionali volumetriche MICRO, che permettono sia di infondere a minime velocità, che un attento controllo dei liquidi infusi. Il volume dei liquidi da infondere nelle 24 ore viene stabilito dal medico e riportato su apposito schema infusionale, dove l’I.P.dopo verifica apporrà la velocità di infusione, la sede e la sua firma. Se la preparazione contiene vitamine e/o lipidi, deve essere protetta dalla luce.
     
    MONITORAGGIO DEL PAZIENTE
    Il monitoraggio del paziente in trattamento con N.P. è rivolto al controllo di tutti i parametri vitali, che vengono rilevati dall’I.P. con frequenza stabilita dal medico in base alla gravità del paziente. Bisogna essere molto attenti nel diagnosticare precocemente una sepsi, che può essere causata sia dall’utilizzo del C.V.C che da qualche altra patologia settica in atto. Un attento monitoraggio, attraverso accertamenti di laboratorio e clinici, permette di evitare l’insorgenza di alcune complicanze.
    ESAMI DI LABORATORIO
    Tre volte perSettimanaUnavoltaPer settim.Giornalm.o più volte
    Ureasisi
    Creatininasisi
    Sodiosisi
    Potassiosisi
    Clorosisi
    Calciosisi
    Fosforosisi
    Magnesiosisi
    Glicemiasi
    Bilir.Totalesi
    ALT-GGTsi
    ProteineTotalisi
    FosfatasiAlcalinasi
    Trigliceridisi
    Ematocritosi
    Glicosuriasi

    ESAMECLINICO
    UnavoltaPer settim.Giornalm.o più volte
    Parametrivitalisi
    EntrateedUscitesi
    Misure Antropometrichesi
    Curvediaccrescimentosi
    Pesoe Altezzasi

    COMPLICANZE CORRELATE ALL’USO DELLA NPT
    Prevenire gli eventi avversi durante la somministrazione della NP richiede una certa familiarità dell’operatore nei confronti delle necessità nutrizionali dei neonati e dei pazienti pediatrici e la conoscenza delle potenziali complicanze. Queste possono essere metaboliche, relative al catetere venoso centrale (infettive e meccaniche) e relative al catetere venoso periferico.
     
    COMPLICANZE METABOLICHE
     
    1. DASOMMINISTRAZIONE DI GLUCOSIO
    Comunemente sono rappresentate da IPO o IPER glicemia. I neonati sono più inclini a questo tipo di complicanza rispetto ai bambini, poiché hanno scarsi depositi di glicogeno ed una limitata capacità alla glicogenolisi.
     
    2. DASOMMINISTRAZIONE DI PROTEINE
    Vanno valutate azotemia e creatinina, che se risultano aumentate in assenza di insufficienza renale, danno indicazione per un aumento di fluidi.
     
    3. DASOMMINISTRAZIONE DI LIPIDI
    Sono rappresentate da iperlipidemia e iperbilirubinemia poiché, soprattutto nei neonati, gli enzimi epatici sono scarsi per l’immaturità del fegato . Le infusioni lipidiche vanno infuse dopo 16 – 24 ore di vita.
     
    4. EFFETTIEPATICI
    La colestasi o ittero col estatico, è la complicanza più frequente e seria vista nella somministrazione di NP nei neonati. Generalmente si manifesta dopo 2 – 6 settimane di trattamento e può evolvere in cirrosi biliare o problemi al fegato. Si può vedere lieve epatomegalia ed un aumento della bilirubinemia coniugata, seguiti da aumento nel sangue di fosfatasi alcalina e transaminasi. Le esatte cause degli effetti epatici della NP sono sconosciute, ma possono essere correlate alla somministrazione di aminoacidi, mancanza di alimentazione entrale e sovraccarico calorico.
    L’uso di alimentazione entrale và fatto il prima possibile anche se in minimo apporto, stimolando la produzione di ormoni e secrezioni biliari. Quando la continuazione della NP è necessaria, per il controllo della colestasi è necessario:
    · Evitare l’eccesso di calorie da somministrare (sovra-alimentazione)
    · Provvedere ad un mix di calorie (destrosio,proteine e lipidi) in quantità appropriatamente bilanciate
    · Provvedere ad un po’ di stimolazione entrale (quando possibile)
     
    5. DEFICIENZA DI ELETTROLITI ED OLIGOELEMENTI
    Molte carenze di elettroliti ed oligoelementi sono secondarie ad errato monitoraggio e supplementazione. Un eccesso di perdita di fluidi da vomito, diarrea, ferite ed altre secrezioni può causare un ulteriore perdita di elettroliti e di oligoelementi, come lo zinco. Un attento monitoraggio degli elettroliti e dei fluidi persi è necessario per evitare carenze.
     
    COMPLICANZE RELATIVE AL CATETERE VENOSO CENTRALE
    Le complicanze da catetere (che possono essere allo stesso tempo meccaniche o infettive) sono relative allo stato di malattia dei neonati, alle cure infermieristiche e al tipo di catetere usato.
     
    1. MECCANICHE
    Le più frequenti sono dovute ad un improprio posizionamento del catetere; per limitare conseguenze, si procede, dopo inserimento , a controllo radiologico, per verificare il corretto posizionamento. Tali complicanze sono rappresentate da:
    PNEUMOTORACE, EMOTORACE, EMBOLIA GASSOSA, PERFORAZIONE CARDIACA, DANNEGGIAMENTO DI ARTERIE E VENE, FORMAZIONE DI TROMBI O COAGULI DI FIBRINA, DISLOCAZIONE DEL CATETERE O FORMAZIONE DI PRECIPITATI.
    Un’appropriata manutenzione è fondamentale per diminuire la possibilità di occlusione. Il C.V.C deve essere assicurato con una sutura nel punto di ingresso con la cute, ed in seguito ispezionato accuratamente durante l’esecuzione di medicazioni.
     
    2. INFETTIVE
    I fattori che influenzano il rischio di complicanze infettive sono:
    - il tempo per cui il C.V.C rimarrà in sede
    - numero di vie (lumen del catetere e connettori)
    - sede venosa scelta
    In neonatologia e cateteri venosi centrali più utilizzati sono il catetere
    ombelicale ed il catetere percutaneo.
    Il primo ha maggiore incidenza di infezioni poiché la vena ombelicale è a contatto diretto con l’ambiente esterno non essendoci alcuna barriera di protezione cutanea o sottocutanea tra i due.
    Il secondo è una via venosa più sicura poiché una eventuale infezione del punto di ingresso incontra prima uno strato sottocutaneo, poi una vena periferica lontana dai grossi vasi.
    Per ridurre il rischio infettivo dei C.V.C è importante effettuare:
    · Monitoraggio stretto dei segnali di infezione
    ( febbre, aumento irritabilità del paziente, arrossamento nel punto di inserzione del catetere)
    · Cambiodellamedicazioneogni 2 -3 giorni
    E’ consigliabile utilizzare cerotto semipermeabile trasparente in poliuretano che permette un osservazione costante del sito ed una limitazione delle manovre infermieristiche
    · Appropriata tecnica asettica durante il cambio delle soluzioni infusive
    · Utilizzodi appositi presidi o soluzioni antisettiche intorno ai connettori
    · Limitare al massimo la durata di utilizzo del C.V.C quando non è più essenziale
     
    COMPLICANZE RELATIVE AL CATETERE VENOSO PERIFERICO
    Le complicanze relative al loro utilizzo sono rappresentate da flebiti , stravaso di infusione ed infezione da catetere. Un aumentato rischio è costituito da infusioni con emulsioni di lipidi. E’ importante monitorare la presenza di edema, rossore, medicazione umida.
     
    PASSAGGIO AD ALIMENTAZIONE ENTERALE
    Sebbene la NP nei neonati e nei pretermine provvede a tenerli in vita con i suoi nutrienti e favorisce il loro accrescimento, il suo uso può avere effetti fisiologici negativi che riguardano il tratto gastro – intestinale. Il digiuno provoca una diminuzione nella produzione di ormoni gastro – intestinali, atrofia della mucosa gastrica, diminuzione della produzione delle IGA, una diminuzione nella motilità gastro intestinale ed un incremento nell’incidenza di ulcerazioni intestinali. Questi effetti causano una diminuzione della capacità digestiva e di assorbimento del tratto intestinale, aumentando il rischio di infezioni batteriche sistemiche. Per ridurre al minimo questi effetti, la NE dovrebbe essere iniziata il più presto possibile. Un costante uso di piccoli volumi di NE come supplemento alla NP, stimolerà le funzioni del tratto gastro – intestinale. E’ importante osservare il neonato, per individuare intolleranze alla NE.
     
    CONCLUSIONI
    Per molti pazienti pediatrici, la NP è un intervento salvavita e provvede all’energia necessaria per l’accrescimento, la riparazione dei tessuti quando non è possibile un’alimentazione di tipo enterale. Una certa familiarità con i fabbisogni nutrizionali, con le complicanze e con i metodi di monitoraggio può aiutare a ridurre al minimo le complicanze in questo tipo di pazienti.
     
    Bibliografia:
    E.GALLI,Alimentazione parenterale ed enterale, Masson editori. CLAUDIO SPAIRANI, TIZIANA LAVALLE, Procedure e linee guida di assistenza infermieristica ANIN, Edizioni Masson.
    PIERLUIGI BADON, SIMONE CESARO, Manuale di nursing pediatrico, Casa Editrice Ambrosiana.
    JOHN A. KERNER, Jr Manual of pediatric parenteral nutrition,
    Wiley Medical.
    CDC, Guideline for the Prevention of Intravascular Catheter – Related Infections 2002.
    John R.Wesley, Debra K. Bello, Parenteral Nutrition in the Neonatal and Pediatric Patient, an online Continuing Education Course for Healthcare Professionals.
    FONTE: Bontempi Stefania*, V.I. – Vignini C., I.P.
    T.I.O. “G. Salesi” - Ancona
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    Diagnosi di diabete: le fasi di accettazione della malattia

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    Diagnosi di diabete: le fasi di accettazione della malattia
    Imparare ad accettare la diagnosi di una malattia cronica come il diabete significa dover riorganizzare la propria vita (e quella di chi ci sta vicino) tenendo conto di un limite personale: questo processo può essere doloroso e richiede del tempo per elaborare la notizia e reagire alla
    malattia in modo attivo e consapevole.

    Il proprio atteggiamento verso il diabete è fondamentale e può fare la differenza. Più ci si informa, si inquadra bene la situazione, si è coinvolti attivamente per reagire e più si riuscirà a tenerlo sotto controllo, pur tra alti e bassi, momenti di sconforto e momenti in cui ci sentiremo soddisfatti delle nostre piccole conquiste quotidiane: è una sfida che vale la pena di accettare come investimento per la nostra salute futura: tenere sotto controllo il nostro diabete significa proteggersi dalle complicazioni, anche quando l’assenza di sintomi ci fa pensare il contrario, non molliamo mai la presa, è importante e bisogna esserne convinti al cento per mille.
    Impegnarsi insieme al nostro medico ad elaborare un piano di trattamento che preveda diverse tappe di intervento garantisce, da un lato,  a noi diabetici e ai nostri familiari, la possibilità di adattarsi progressivamente a un nuovo stile di vita e, dall’altro al nostro medico, consente di personalizzare le nostre richieste e necessità. In questo modo costruiremo insieme un piano di intervento su misura per noi. 
     
    Le fasi di accettazione del diabete dopo la diagnosi
    Ricevere una diagnosi di diabete può essere sconvolgente. Bisogna darsi del tempo per elaborare la notizia e collocarla nella giusta dimensione. Gli stati d’animo e i modi di reagire possono essere diversi in base all’età, al carattere, al nostro profilo psicologico, allo stile e al nostro progetto di vita personale e sociale e a molti altri fattori ma spesso il percorso attraversa alcune tappe comuni anche se non così nette nel loro avvicendarsi.
     
    1) Lo shock iniziale: al momento della diagnosi possiamo avere la sensazione di cadere in uno stato di confusione e paura, facciamo fatica a capire che  cosa ci sia realmente accaduto e cosa potrà succedere in futuro. In questo momento sarà importante avere un rapporto di fiducia ed empatia con il nostro medico e avere il supporto dei familiari più cari e vicini, ci consentirà di sentirci presi in cura, ascoltati, accuditi e servirà a calmare e dissolvere almeno in parte i timori e le paure che ci assalgono.
     
    2) La fase di rifiuto: dopo il panico iniziale, spesso ci si sente increduli di ciò che “è potuto accadere proprio a noi”, saremo invasi da sentimenti di minaccia e voglia di fuggire.
     
    3) La fase di rivolta: possiamo diventare aggressivi, ce l’avremo con tutti, ci sentiamo arrabbiati con il mondo intero. In questa fase è importante cominciare a canalizzare questa rabbia verso UN SOLO NEMICO, verso un obiettivo, magari piccolo ma modificabile. Il ruolo del medico e dei familiari anche in questo caso potrà essere di grande supporto per farci prendere coscienza che in ogni caso qualcosa si può fare: concentriamo tutte le nostre forze su questo pensiero.
     
    4) La fase di negoziazione:è il primo segnale di apertura e collaborazione da parte nostra ed è importante a questo punto cercare di integrare la malattia in un nostro nuovo possibile progetto di vita. È la dimostrazione che esiste un futuro e che potremmo, con un po’ di buona volontà, collocare le richieste del nostro medico nella nostra vita quotidiana, cercare di renderle abituali per noi.
     
    5) La fase di depressioneè un possibile momento di ricaduta, di tristezza, un tentativo di isolarci. L’unico aggancio possibile in questa fase è la condivisione con gli altri: capire che molte altre persone hanno attraversato ciò che stiamo passando noi e ce l’hanno fatta e combattono ogni giorno per vincere la sfida; ancora una volta il ruolo dei familiari e del medico è fondamentale per farci capire che comunque ci sentiamo possiamo sempre contare sul loro appoggio e che condividono con noi il nostro percorso in attesa che ci sentiamo pronti a reagire e ad agire, ad affrontare la nuova sfida.
     
    6) L’accettazione attiva segnala la nostra vittoria, è il momento dell’equilibrio, dell’azione e della consapevolezza. Prendiamone atto e complimentiamoci con noi stessi. Siamo pronti ad assumerci e a condividere la responsabilità del trattamento e a investire sulla nostra salute futura. Ci crediamo e vogliamo essere parte attiva del nostro nuovo progetto di vita con tutto ciò che comporta, siamo consapevoli che possiamo tenere sotto controllo il nostro diabete conoscendolo e correndo più veloce di lui. Possiamo essere soddisfatti di noi stessi e della nostra vittoria sulle nostre paure.
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    Malattia da virus Ebola (EVD)

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    clip_image002Malattia da virus Ebola (EVD)



    . Che cos'è la malattia da virus Ebola?
    La malattia da virus Ebola (EVD), precedentemente nota come febbre emorragica da virus Ebola, è una malattia grave, spesso fatale, con un tasso di mortalità fino al 90 %. La malattia colpisce gli uomini e i primati (scimmie, gorilla, scimpanzé).
    L’Ebola è apparsa la prima volta nel 1976 in due focolai contemporanei: in un villaggio nei pressi del fiume Ebola nella Repubblica Democratica del Congo, e in una zona remota del Sudan.

    L'origine del virus non è nota, ma i pipistrelli della frutta (Pteropodidae), sulla base delle evidenze disponibili, sono considerati i probabili ospiti del virus Ebola.

    . Come si infettano le persone?
    L’Ebola si trasmette nella popolazione umana attraverso lo stretto contatto con sangue, secrezioni, tessuti, organi o fluidi corporei di animali infetti. In Africa, l'infezione è avvenuta attraverso la manipolazione degli scimpanzé, gorilla, pipistrelli della frutta, scimmie, antilopi di foresta e istrici infetti trovati malati o morti o catturati nella foresta pluviale. Nelle zone a rischio (foresta pluviale dell’Africa Sub-sahariana) è importante ridurre il contatto con gli animali ad alto rischio, quali pipistrelli della frutta, scimmie e primati, non raccogliere animali morti trovati nelle foreste o manipolare la loro carne cruda.
    Una volta che una persona sia entrata in contatto con un animale infetto da virus Ebola e abbia contratto l’infezione, questa  può diffondersi all'interno della comunità da persona a persona. L'infezione avviene per contatto diretto (attraverso ferite della pelle o mucose) con il sangue o altri fluidi corporei o secrezioni (feci, urine, saliva, sperma) di persone infette. L'infezione può verificarsi anche in caso di ferite della pelle o delle mucose di una persona sana che entra in contatto con oggetti contaminati da fluidi infetti di un paziente con Ebola, quali vestiti e biancheria da letto sporchi dei fluidi infetti o aghi usati.
    Gli operatori sanitari sono stati spesso i più esposti al virus durante la cura dei pazienti con Ebola. Questo accade perché, in particolare  nelle prime fasi di un epidemia, non indossano dispositivi di protezione individuale (ad esempio i guanti) quando assistono i pazienti. Gli operatori sanitari di tutti i livelli del sistema sanitario - ospedali, cliniche e centri sanitari - delle aree a rischio dovrebbero essere informati, prima possibile, sulla natura della malattia, sulle modalità di trasmissione e seguire rigorosamente le precauzioni raccomandate per prevenire l'infezione.
    Possono svolgere un ruolo nella trasmissione di Ebola anche le cerimonie funebri in cui le persone hanno contatti diretti con il corpo del defunto. Le persone decedute per Ebola, infatti, devono essere maneggiate con indumenti protettivi e guanti ed essere sepolte immediatamente.
    Le persone sono contagiose fino a quando il sangue e le secrezioni contengono il virus. Per questo motivo, per evitare di infettare chiunque altro nella comunità, i pazienti infetti devono essere attentamente monitorati dai medici e sottoposti a test di laboratorio, per garantire che il virus non sia più in circolo, prima del loro ritorno a casa. Gli uomini, guariti dalla malattia, possono ancora trasmettere il virus a partner attraverso lo sperma, per un massimo di sette settimane dopo la guarigione. Per questo motivo è importante per gli uomini evitare rapporti sessuali per almeno sette settimane dopo la guarigione oppure indossare il preservativo nei rapporti sessuali durante le sette settimane dopo la guarigione.

    . Chi è più a rischio ?
    Durante un’epidemia le persone a più alto rischio di infezione sono:
    • operatori sanitari
    • familiari o altre persone a stretto contatto con persone infette
    • persone che hanno contatto diretto con i corpi dei defunti, nelle cerimonie funebri
    • cacciatori nella foresta pluviale che entrano in contatto con animali trovati morti nella foresta.
    Sono necessarie altre ricerche per capire se alcuni gruppi, come le persone immunocompromesse o persone con altre patologie di base, siano più suscettibili di altri a contrarre l’infezione.
    L'esposizione al virus può essere controllata attraverso l'uso di misure protettive in strutture sanitarie e ospedali, nei raduni di comunità e nelle abitazioni. 

    . Come non si trasmette il rischio di infezione da virus Ebola?
    Anche per chi abita o ha viaggiato nelle zone colpite il rischio di infezione da virus Ebola è estremamente basso a meno che vi sia stata esposizione diretta ai liquidi corporei di una persona o di un animale contagiato, vivo o morto.
    Un contatto casuale in luoghi pubblici con persone che non mostrano segni di malattia non trasmette Ebola. Non si può contrarre la malattia maneggiando denaro o prodotti alimentari o nuotando in piscina. Le zanzare non trasmettono il virus Ebola. 

    . Quanto è resistente il virus EBOLA?
    Il virus Ebola viene ucciso facilmente da sapone, candeggina, luce solare o asciugatura. Il lavaggio in lavatrice di indumenti contaminati da liquidi è sufficiente a distruggere il virus Ebola. Il virus Ebola sopravvive solo per breve tempo su superfici esposte alla luce solare o secche.


    . Quali sono i segni e sintomi tipici di infezione?

    Comparsa improvvisa di febbre, intensa debolezza, dolori muscolari, mal di testa e mal di gola sono i segni e sintomi tipici, seguiti da vomito, diarrea, esantema, insufficienza renale ed epatica e, in alcuni casi, emorragia sia interna che esterna.
    Gli esami di laboratorio includono globuli bianchi e piastrine bassi ed aumento degli enzimi epatici.
    Il periodo di incubazione o l'intervallo di tempo dall'infezione alla comparsa dei sintomi è tra i 2 e i 21 giorni. Il paziente diventa contagioso quando comincia a manifestare sintomi, non è contagioso durante il periodo di incubazione.
    L’infezione da malattia da virus Ebola può essere confermata solo attraverso test di laboratorio. 

    . Quando si dovrebbe cercare assistenza sanitaria?
    Se una persona si trova in aree dove è noto ci sia la malattia da virus Ebola o ha avuto contatti con un caso confermato in laboratorio o un soggetto con quadro clinico fortemente sospetto di malattia da virus Ebola e comincia a presentare sintomi della malattia dovrebbe immediatamente richiedere assistenza sanitaria.
    Eventuali casi sospetti devono essere segnalati dal centro medico all'unità sanitaria più vicina senza indugio. Cure mediche immediate sono essenziali per aumentare il tasso di sopravvivenza dalla malattia. Le cure mediche sono importanti anche per controllare la diffusione della malattia ed avviare immediatamente le procedure di controllo dell'infezione. 

    . Qual è il trattamento?
    I pazienti gravemente malati necessitano di terapia intensiva, sono spesso disidratati e hanno bisogno di liquidi per via endovenosa o di reidratazione orale con soluzioni contenenti elettroliti. Attualmente non esiste un trattamento specifico per curare la malattia.
    Alcuni pazienti con terapie mediche appropriate guariscono.
    Per aiutare a controllare l'ulteriore diffusione del virus, i casi sospetti o confermati devono essere isolati dagli altri pazienti e trattati da operatori sanitari che attuino  rigorose precauzioni per il controllo delle infezioni. 

    . L’infezione può essere prevenuta?
    Attualmente non esiste un vaccino autorizzato per la malattia da virus Ebola. Diversi vaccini sono in fase di sperimentazione, ma nessuno è disponibile per uso clinico in questo momento.
    Per ridurre il numero dei casi e i decessi è fondamentale accrescere la consapevolezza dei fattori di rischio e adottare le misure di prevenzione. 

    Modalità per prevenire l'infezione da virus Ebola
    Mentre i casi iniziali di malattia da virus Ebola sono stati contratti manipolando animali o carcasse infetti, i casi secondari si sono verificati attraverso il contatto diretto con i fluidi corporei di una persona malata, durante la cura dei casi a rischio o durante pratiche di sepoltura non sicure. Nel corso di questa ultima epidemia in Africa occidentale, la maggior parte dei casi di malattia si è diffusa attraverso la trasmissione da persona a persona. Diverse misure possono essere adottate per prevenire l'infezione, limitare o interrompere la trasmissione:
    • Comprendere la natura della malattia, come si trasmette e come evitare che si diffonda ulteriormente
    • Ridurre il contatto con animali infetti ad alto rischio (quali pipistrelli della frutta, scimmie e primati) nelle aree di foresta pluviale colpite
    • Cuocere accuratamente i prodotti di origine animale (sangue e carne) prima di mangiarli
    • Indossare guanti e utilizzare dispositivi di protezione individuale, durante la cura di persone malate
    • Lavare  regolarmente le mani dopo aver visitato i pazienti in ospedale o dopo essersi presi cura di qualcuno a casa.
    • Seppellire immediatamente le persone decedute per Ebola, manipolando le salme con dispositivi di protezione.
    . Come proteggere gli operatori sanitari dal rischio elevato nella cura dei pazienti malati?
    Gli operatori sanitari che trattano pazienti con malattia sospetta o confermata sono a più alto rischio di infezione rispetto agli altri gruppi.
    In aggiunta alle precauzioni standard di assistenza sanitaria gli operatori devono:  
    • applicare rigorosamente le misure raccomandate per il controllo delle infezioni ed evitare l'esposizione a sangue infetto, fluidi o ambienti o oggetti contaminati, come la biancheria sporca dei liquidi biologici di un paziente o gli aghi usati
    • utilizzare dispositivi di protezione individuale come camici monouso, guanti, maschere e occhiali o visiere
    • non riutilizzare i dispositivi di protezione o indumenti a meno che non siano stati correttamente disinfettati
    • cambiare i guanti dopo ogni operazione di assistenza ad un caso sospetto/confermato di Ebola
    • effettuare procedure invasive che possono esporre medici, infermieri ed altri all'infezione nel rispetto di rigorose condizioni di sicurezza
    • tenere separati i pazienti infetti dagli altri pazienti e dalle persone sane.
    . Ci sono cibi che possono prevenire o curare l'infezione?
    No, queste voci sono infondate.
    L'OMS raccomanda vivamente alle persone di ricercare nei confronti della malattia da virus Ebola consigli preventivi credibili rilasciati dalle autorità di sanità pubblica.
    Poiché non vi è alcun farmaco specifico contro l’Ebola, il miglior trattamento è il supporto intensivo fornito in ospedale da operatori sanitari che attuino severe procedure di controllo delle infezioni. L'infezione può essere controllata attraverso le misure di protezione raccomandate. 

    . Cosa fa l’OMS per proteggere la salute pubblica durante le epidemie?
    L’OMS fornisce consulenza tecnica ai Paesi e alle comunità per la preparazione e la risposta alle epidemie di Ebola.
    Le azioni includono:
    • sorveglianza delle malattie e condivisione delle informazioni tra i Paesi sui focolai epidemici
    • assistenza tecnica per studiare e contenere le minacce per la salute quando si presentano - come l'assistenza sul posto, per identificare le persone malate e tracciare modelli di malattia
    • consigli su scelte di prevenzione e di trattamento
    • invio di esperti e distribuzione di materiale sanitario (come dispositivi di protezione individuale per gli operatori sanitari), quando richiesti dal Paese
    • comunicazioni per aumentare la consapevolezza della natura della malattia e le misure sanitarie di protezione per controllare la trasmissione del virus
    • attivazione di reti di esperti, a livello continentale e globale, per fornire assistenza, se richiesta, e mitigare i potenziali effetti sulla salute, nonché informazioni su modalità di viaggi e commerci.
    . Perché, durante un'epidemia, il numero di casi segnalati può variare?
    Durante un'epidemia di Ebola, le autorità sanitarie pubbliche del Paese colpito riportano i numeri di casi di malattia e dei decessi. Le cifre possono cambiare ogni giorno. Il numero di casi riflette sia i casi sospetti che i casi di Ebola confermati in laboratorio. A volte il numero di casi sospetti e confermati sono riportati insieme mentre a volte sono riportati separatamente. Per questo numeri possono oscillare tra casi sospetti, casi confermati, casi successivamente esclusi dagli esami di laboratorio.
    È generalmente più utile, per valutare la situazione della salute pubblica e determinare la risposta appropriata, analizzare l’andamento dei casi nel corso del tempo, anche alla luce delle informazioni aggiuntive che man mano si acquisiscono. 

    . È sicuro viaggiare durante un'epidemia? Cosa consiglia l’OMS?
    Nel corso di un focolaio, l'OMS esamina regolarmente la situazione sanitaria pubblica e raccomanda restrizioni di viaggio o rotte commerciali, se necessario. Al momento, tali misure non sono raccomandate.
    Il rischio di infezione per i viaggiatori è molto basso in quanto la trasmissione da persona a persona avviene per contatto diretto con i fluidi corporei o secrezioni di un paziente infetto.
    I consigli dell’OMS sui viaggi in generale
    • I viaggiatori dovrebbero evitare ogni contatto con pazienti infetti
    • Gli operatori sanitari che viaggiano verso aree colpite dovrebbero seguire rigorosamente le indicazioni sul controllo delle infezioni raccomandate dall’OMS
    • Chiunque abbia soggiornato in aree dove i casi sono stati recentemente segnalati dovrebbe essere consapevole dei sintomi dell’ infezione e consultare un medico al primo segno di malattia
    • I medici che si occupano di viaggiatori di ritorno dalle zone colpite, con sintomi compatibili sono invitati a considerare la possibilità di malattia da virus Ebola
    I consigli dell'OMS ai viaggiatori nell'attuale situazione dell'epidemia di Ebola in Africa, dichiarata Emergenza di sanità pubblica di rilievo internazionale, sono riassunti nei pieghevoli diffusi dal Ministero della Salute l'8 agosto 2014.
    Al riguardo, il Ministero della Salute, anche se l’OMS continua a non prevedere alcuna restrizione di viaggi e movimenti internazionali verso le aree affette e da queste, ritiene opportuno  consigliare ai cittadini italiani il differimento di viaggi non urgenti e indispensabili verso i Paesi interessati  da epidemie di EVD.
    E' bene sapere, inoltre, che l'OMS raccomanda alle autorità dei Paesi africani colpiti dall'epidemia screening in uscita dei viaggiatori internazionali in aeroporti, porti e principali attraversamenti terrestri, per individuare malattie febbrili non spiegate compatibili con infezione da Ebola, mediante la somministrazione di un questionario, la misurazione della temperatura e, in caso di febbre. Se la valutazione del rischio che la febbre possa essere causata da EVD è affermativo, il viaggio viene impedito. Al momento, non sono invece raccomandati screening in ingresso in quei Paesi. 

    . Cosa consiglia l'ECDC sui viaggi verso paesi come la Guinea e la Liberia, dove è attivo il focolaio Ebola?
    Consigli del Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie (ECDC) 

    Consigli ai viaggiatori in arrivo in Guinea o Liberia
    Il rischio di esposizione al virus Ebola è estremamente basso. Le seguenti misure preventive dovrebbero eliminare il rischio di contagio:
    • evitate il contatto diretto con il sangue o con liquidi corporei di un paziente o di un cadavere e con oggetti che potrebbero essere stati contaminati
    • evitate la vicinanza di animali selvatici e non consumate selvaggina
    • evitate i rapporti sessuali non protetti.
    Consigli ai viaggiatori che provengono da Guinea o Liberia
    Il rischio che siate stati esposti al virus Ebola è estremamente basso. Tuttavia:
    se nel giro di alcune settimane dopo il soggiorno in una zona tropicale compaiono febbre, spossatezza immotivata, diarrea o altri sintomi gravi:
    • chiedete subito assistenza medica e indicate i luoghi visitati, in quanto il vostro stato può dipendere da un'infezione, quale la malaria, che impone accertamenti e cure urgenti
    Se siete stati esposti direttamente a liquidi corporei provenienti da una persona o un animale contagiato, vivo o morto, compresi i contatti sessuali non protetti con pazienti guariti:
    • chiedete subito assistenza medica e indicate i luoghi visitati
    • contattate la struttura medica per telefono prima di recarvici, per consentire al personale medico di utilizzare gli opportuni dispositivi di protezione al vostro arrivo.
    . Qual è la situazione in Italia e quali misure sono state prese?
    Per le misure messe in atto da mesi e rafforzate nell’ultimo periodo, il nostro Paese è attrezzato per valutare e individuare ogni eventuale rischio di importazione della malattia da virus Ebola e contenerne la diffusione.
    Nessun caso sospetto di malattia da virus da Ebola è stato segnalato al Ministero della Salute.
    Il Ministero della Salute italiano ha dato per tempo, e continua ad aggiornare in tempo reale, disposizioni per il rafforzamento delle misure di sorveglianza nei punti di ingresso internazionali (porti e aeroporti presidiati dagli Uffici di Sanità Marittima, Aerea e di Frontiera – USMAF) e sono state date indicazioni affinché il rilascio della libera pratica sanitaria alle navi che nei 21 giorni precedenti abbiano toccato uno dei porti dei Paesi colpiti avvenga solo dopo verifica, da parte dell’USMAF, della situazione sanitaria a bordo. Per ciò che concerne gli aeromobili è stata richiamata la necessità della immediata segnalazione di casi sospetti a bordo per consentire il dirottamento dell’aereo su uno degli aeroporti sanitari italiani designati ai sensi del Regolamento Sanitario Internazionale 2005.
    Pur in presenza di un rischio remoto di importazione dell’infezione, va in proposito ricordato che l’Italia, a differenza di altri Paesi Europei, non ha collegamenti aerei diretti con i Paesi affetti e che altri paesi europei stanno implementando misure di sorveglianza negli aeroporti.
    Riguardo le condizioni degli immigrati irregolari provenienti dalle coste africane via mare, la durata di questi viaggi fa sì che persone che si fossero eventualmente imbarcate mentre la malattia era in incubazione manifesterebbero i sintomi durante la navigazione e sarebbero, a prescindere dalla provenienza, valutati per lo stato sanitario prima dello sbarco, come sta avvenendo attraverso l’operazione Mare Nostrum.
    Consulta note e circolari nella sezione malattie infettive.
    . Quali sono i Paesi dell’Africa occidentale affetti dall’epidemia di Malattia da virus Ebola (EVD)?
    Le comunicazioni fornite dall’Organizzazione Mondiale della Sanità informano che i Paesi dell’Africa occidentale affetti dall’epidemia di Malattia da virus Ebola (EVD) sono, al momento:
    • Guinea (Conakry)
    • Liberia
    • Sierra Leone
    • Nigeria
    Al 20 agosto, sono stati segnalati dai quattro paesi,  il totale di casi attribuibili a MVE nei quattro paesi si attesta a 2615 di cui 1427 decessi.
    Dal 26 agosto, è notificato anche un nuovo focolaio probabilmente non correlato con l'epidemia negli altri quattro paesi africani, con 20 casi sospetti di cui 13 decessi:
    • Repubblica democratica del Congo
    Si ricorda che l'8 agosto il Direttore Generale dell’OMS ha dichiarato, sulla base del parere fornito dal Comitato di Emergenza del Regolamento Sanitario Internazionale appositamente convocato, che l’epidemia di Malattia da virus Ebola (EVD) in corso in Africa Occidentale costituisce una emergenza di sanità pubblica di rilevanza internazionale (Public Health Emergency of International Concern- PHEIC)  e rappresenta un rischio per la sanità pubblica di altri Stati che potrebbero essere interessati dalla diffusione internazionale della malattia. E ha diffuso una serie di raccomandazioni agli stati membri.
    Segui i comunicati sulla situazione internazionale in Eventi epidemici all'estero
    Consulta in sito (in inglese) dell'OMS 
     
    . Dove posso trovare gli aggiornamenti sulla situazione internazionale, in quali Paesi ci sono focolai, il numero dei casi?
    Tutti gli aggiornamenti sulla situazione internazionale sono presenti nella sezione "Avvisi di sicurezza – Eventi epidemici all’estero".

    Direzione generale della prevenzione
    Organizzazione mondiale della sanità (OMS)
    Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie (ECDC)

    FONTE: clip_image003















































































    Norme di comportamento per la Libera Professione Infermieristica

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    clip_image001 Norme di comportamento per la Libera Professione Infermieristica

    Norme di comportamento per la Libera Professione Documento del Comitato centrale della Federazione nazionale dei Collegi IPASVI Titolo I – Principi generali                                                                                                   Art. 1 L’infermiere svolge una professione al servizio della salute del singolo e della collettività. È chiamato non solo ad assicurare una qualificata assistenza infermieristica, ma anche a dare risposte professionali sempre nuove per favorire, interagendo con tutto il personale sanitario, l’aumento del livello di salute nel Paese. L’attività dell’infermiere,
    nella sua dimensione umana, sociale e professionale, potrà essere meglio interpretata e vissuta se costantemente ispirata ad alcune precise norme comuni. 

    Art. 2 Ai sensi del DM 739/94 la figura dell’infermiere libero professionista comprende le qualifiche di Infermiere professionale, Assistente sanitario e Vigilatrice d’infanzia. Ogni singolo professionista opererà con i limiti o le estensioni della sua qualifica professionale.
    Art. 3 L’infermiere esercita la libera professione previa iscrizione all’Albo del Collegio IPASVI della provincia dove ha la residenza anagrafica. 

    Art. 4 L’infermiere esercita la libera professione con coscienza, obiettività, competenza nel rispetto dell’etica professionale, libero da asservimenti materiali, morali, politici ed ideologici. Respinge ogni influenza estranea alla propria attività. Non fa discriminazioni di religione, razza, nazionalità, ideologia politica e classe sociale. 

    Art. 5 La fiducia è alla base dei rapporti professionali dell’infermiere libero professionista; egli agisce con correttezza, lealtà, sincerità e rispetta l’obbligo della riservatezza.
    Art. 6 L’infermiere libero professionista non rinuncia in nessun caso alla sua libertà ed indipendenza professionale. 

    Art. 7 L’infermiere libero professionista si impegna a mantenersi continuamente aggiornato. 

    Art. 8 il comportamento dell’infermiere libero professionista è consono alla dignità ed al decoro della professione anche al di fuori dell’esercizio professionale. Egli pertanto si astiene da qualsiasi azione che possa arrecare discredito al prestigio della professione, al Collegio cui appartiene ed agli altri 

    Art. 9 L’infermiere libero professionista non deve avvalersi di cariche politiche o pubbliche in modo tale da far fondatamente ritenere che, per effetto di esse, egli possa conseguire vantaggi professionali per sé o altri.   
                                                                                                                                          
    Art. 10 L’infermiere libero professionista rispetta le tariffe professionali e le altre norme in materia di compensi. 

    Art. 11 L’infermiere iscritto al Collegio IPASVI effettua prestazioni infermieristiche gratuite esclusivamente in situazioni occasionali e non ripetute affinché ciò non comporti concorrenza sleale nei confronti di colleghi. Forme di volontariato gratuito nell’esercizio dell’attività infermieristica potranno essere svolte solo previa autorizzazione del Collegio provinciale. 

    Art. 12 L’infermiere libero professionista in forma individuale o associata attua la pubblicità diretta o indiretta al proprio nome e alla propria attività nelle forme consentite dalla legge e dai regolamenti.

    Art. 13 L’infermiere libero professionista non diffonde avvisi pubblicitari e non usa titoli accademici o professionali non attinenti all’oggetto della professione. I titoli di Infermiere professionale, 
    Assistente sanitario e Vigilatrice d’infanzia devono essere indicati per intero.
      
     Art. 14 L’infermiere dipendente pubblico o privato può esercitare la libera professione nel rispetto del presente regolamento se tale esercizio è permesso dal contratto collettivo di lavoro o espressamente autorizzato dal datore di  lavoro

    Art. 15 L’infermiere libero professionista deve denunciare al Collegio provinciale ogni tentativo di imporgli comportamenti non conformi ai principi della deontologia professionale. Titolo II – Rapporti con i clienti 

    Art. 16 L’infermiere libero professionista informa tempestivamente il cliente dell’accettazione o del diniego dell’incarico. L’infermiere libero professionista si adopera, quando è possibile, affinché l’incarico sia conferito per iscritto onde precisarne limiti e contenuti. 

    Art. 17 Nel caso di incarichi di particolare natura o complessità l’infermiere libero professionista accetta l’incarico solo se ritiene di possedere la specifica capacità necessaria per l’assolvimento de! compito assistenziale o se il cliente consente la collaborazione di colleghi con specifica capacità.
    Art. 18 L’infermiere libero professionista non deve accettare l’incarico se altri impegni professionali o personali gli impediscono di svolgerlo con la diligenza e lo scrupolo richiesti in relazione all’importanza, complessità, difficoltà e urgenza dell’incarico stesso. 

    Art. 19 L’infermiere libero professionista all’accettazione dell’incarico illustra al cliente con chiarezza gli elementi essenziali e le eventuali difficoltà connesse al relativo piano di lavoro infermieristico. 

    Art. 20 L’infermiere libero professionista antepone gli interessi del cliente a quelli personali. L’applicazione di tale principio non può tuttavia, in alcun caso, incidere sulla dignità e sul decoro del professionista e limitare il diritto al suo compenso. 

    Art. 21 L’infermiere libero professionista garantisce la completa esecuzione dell’incarico di assistenza infermieristica affidatogli. 

    Art. 22 L’infermiere libero professionista, nel caso di sopravvenute modificazioni alla natura e difficoltà delle prestazioni, informa il cliente e chiede, a seconda dei casi, di essere affiancato o sostituito da altro professionista. 

    Art. 23 L’infermiere libero professionista può recedere dall’incarico qualora sopravvengano circostanze o vincoli che possano influenzare la sua libertà di giudizio ovvero condizionare il suo operato. 

    Art. 24 L’infermiere libero professionista ha la discrezionalità di interrompere l’incarico in caso che la condotta 0 le richieste del cliente 0 altri gravi motivi ne impediscano lo svolgimento con correttezza e dignità. 

    Art. 25 Nel caso di recesso dall’incarico l’infermiere libero professionista avverte comunque tempestivamente il cliente, soprattutto se l’incarico deve essere proseguito da altro professionista. In ogni caso il recesso deve avvenire in modo da non arrecare pregiudizio al cliente. 

    Art. 26 L’infermiere libero professionista mantiene la riservatezza in relazione alle notizie apprese nell’esercizio della professione che riguardano il cliente o coloro che sono a lui legati da vincoli familiari. 

    Art. 27 L’infermiere libero professionista si pone in condizione di risarcire gli eventuali danni causati nell’esercizio della professione anche stipulando, ove necessario, un’adeguata polizza di assicurazione. Titolo III – Rapporti con i colleghi Art. 28 L’infermiere libero professionista è corretto, cortese e cordiale con i colleghi ed evita comportamenti suscettibili di ingenerare concorrenza sleale. 

    Art. 29 L’infermiere libero professionista non esprime giudizi che possano nuocere alla reputazione dei colleghi, salvo che ciò sia necessario per l’espletamento di incarichi professionali. 

    Art. 30 L’infermiere libero professionista non divulga informazioni riservate ricevute, anche occasionalmente, da un collega. 

    Art. 31 Gli infermieri libero professionisti, con spirito di solidarietà professionale, si devono ragionevolmente reciproca assistenza. 

    Art. 32- L’infermiere libero professionista, chiamato a sostituire un collega nello svolgimento di un incarico professionale, osserva procedure e formalità corrette e si comporta con lealtà. Prima di accettare l’incarico l’infermiere libero professionista: − si accerta che il cliente abbia informato il collega della richiesta di sostituzione; − si accerta che la sostituzione non sia richiesta dal cliente per motivi lesivi della dignità e del decoro della professione; − invita il cliente a onorare le competenze dovute al precedente collega, salvo che il loro ammontare sia stato debitamente contestato. 

    Art. 33 L’infermiere libero professionista che venga sostituito da altro collega presta al subentrante piena collaborazione e si adopera affinché il subentro avvenga senza pregiudizio per il cliente. 

    Art. 34 In caso di sospensione o di altro temporaneo impedimento di un infermiere libero professionista il collega chiamato a sostituirlo cura la gestione dell’incarico assistenziale con particolare diligenza e si adopera a conservarne le caratteristiche personali e organizzative.

    Art. 35 Se il cliente chiede all’infermiere libero professionista di prestare la propria opera per un incarico già affidato ad altro collega, dichiarando di voler essere assistito da entrambi, il nuovo interpellato deve contattare il collega per concordare le modalità di espletamento dell’incarico.

    Art. 36 Gli infermieri liberi professionisti che assistono uno stesso cliente devono stabilire tra loro rapporti di cordiale collaborazione nell’ambito dei rispettivi compiti. Essi devono tenersi reciprocamente informati sull’attività svolta e da svolgere e a tal fine si consultano per definire il piano assistenziale. 

    Art. 37 L’infermiere libero professionista, che constata nel comportamento del collega manifestazioni di condotta professionale gravemente scorretta, dopo essersi confrontato con lo stesso, informa il Collegio provinciale. 

    Art. 38 Nello svolgimento del comune incarico ogni infermiere libero professionista evita, di regola, di stabilire con il cliente rapporti preferenziali, o interventi assistenziali senza preventiva intesa con i colleghi. In ogni caso, si astiene da iniziative o comportamenti tendenti ad attirare il cliente nella propria esclusiva sfera. Titolo IV – Altri rapporti 

    Art. 39 L’infermiere libero professionista mantiene nei rapporti con i propri collaboratori indipendenza morale ed economica. In particolare l’infermiere libero professionista non fruisce della collaborazione di terzi che esercitano abusivamente la professione e non distoglie con mezzi scorretti i collaboratori altrui. 

    Art. 40 L’infermiere libero professionista vigila affinché i suoi collaboratori siano a conoscenza e rispettino gli obblighi del segreto e della riservatezza professionale, che anch’essi sono tenuti ad osservare. 

    Art. 41 Nei rapporti con la stampa e con gli altri mezzi di informazione l’infermiere libero professionista rispetta l’obbligo di riservatezza nei confronti del cliente ed il divieto di pubblicità al proprio nome.

     Art. 42 L’infermiere libero professionista, qualora nell’esercizio della professione abbia rapporti con iscritti ad altri Albi professionali, si attiene al principio del reciproco rispetto e della salvaguardia delle specifiche competenze.

    Art. 43 È vietato all’infermiere libero professionista favorire chi esercita abusivamente un’attività professionale. Gli è altresi’ vietata l’intermediazione dietro corrispettivo per procacciare clienti a sé o ad altri.                                                                                                                                                 Art. 44 L’infermiere libero professionista non esercita attività incompatibili con la dignità professionale. 
                                                                                                                                          Art. 45 L’esercizio della libera professione è incompatibile con l’esercizio di attività imprenditoriali, anche di piccole dimensioni, in nome proprio o in nome altrui. Tale incompatibilità ricorre espressamente con le figure di socio illimitatamente responsabile, institore o preposto, amministratore unico o delegato di società di capitali. Titolo V- Esercizio in forma individuale

    Art. 46 L’infermiere esercita la libera professione nel pieno rispetto delle norme del Codice Civile, delle norme fiscali e delle norme previdenziali. La libera professione si sostanzia in un esercizio continuativo e in quanto tale non può quindi esplicarsi in forma di: * attività occasionale; * collaborazioni coordinate e continuative.

    Art. 47 L’infermiere notifica al Collegio provinciale ove è iscritto l’inizio dell’attività professionale entro 30 giorni trasmettendo: * scheda anagrafica aggiornata; * copia certificato di attribuzione partita IVA * recapito professionale ed indicazione dell’eventuale ambulatorio. Ogni variazione dei riferimenti professionali, come l’eventuale cessazione dell’attività, dovrà essere comunicata al Collegio provinciale entro 30 giorni.

    Art. 48 Eguale comunicazione prevista dall’articolo 47 deve essere effettuata al Collegio IPASVI della provincia in cui l’infermiere libero professionista eserciti in modo non occasionale attività infermieristica. Titolo VI – Costituzione di studi associati

    Art. 49 L’esercizio della libera professione in forma associata viene svolto nel pieno rispetto delle norme civilistiche, fiscali e previdenziali e in conformità a quanto previsto nella legge 1815/39. La denominazione dello studio associato deve rispettare quanto previsto nella citata legge. Sono quindi espressamente vietati nomi di fantasia e nella indicazione delle forme associative dovrà essere utilizzato il termine “studio associato”. 

    Art. 50 Lo studio associato può essere costituito esclusivamente da: * liberi professionisti iscritti al Collegio IPASVI * da iscritti in altri Albi professionali relativi a professioni sanitarie le cui rispettive attività siano integrabili a quella infermieristica; * da liberi professionisti il cui profilo professionale è previsto dai decreti ministeriali relativi ad attività sanitarie purché sia rispettato il criterio della integrabilità. Restano esclusi dalla partecipazione agli studi associati quei lavoratori la cui autonomia professionale non è legislativamente riconosciuta.

     Art. 51 Lo studio associato deve essere costituito almeno con scrittura privata registrata. Nell’atto costitutivo devono comparire: * i nomi degli associati; * la denominazione dello studio associato; * la sede e la durata; * le norme per il recesso o l’esclusione degli associati; * i criteri di ripartizione degli utili; * le norme regolamentari fra associati, nei confronti dei clienti e nei confronti del Collegio. Sono espressamente vietate clausole vessatorie limitative del diritto di recesso, della partecipazione agli utili o alla gestione associativa e comunque lesive del decoro e della dignità della professione.

    Art. 52 Lo studio associato notifica al Collegio provinciale la sua costituzione entro 30 giorni trasmettendo: * copia dell’atto costitutivo e dell’eventuale statuto; * copia del certificato di attribuzione del codice fiscale e della partita IVA *elenco degli associati con indicazione della qualifica professionale e degli estremi di iscrizione negli Albi professionali ove esistenti. Ogni eventuale variazione dell’atto costitutivo, dello statuto e dell’elenco dei soci, nonché l’eventuale cessazione dell’attività, dovrà essere comunicata al Collegio provinciale entro 30 giorni.

    Art. 53 Eguale comunicazione prevista dall’articolo 52 deve essere effettuata al Collegio IPASVI della provincia in cui lo studio associato eserciti in modo non occasionale attività infermieristica.

    Art. 54 Qualora il numero degli associati sia superiore a 8 (otto) l’atto costitutivo o lo statuto possono prevedere l’individuazione di un organo di amministrazione cui delegare parte dei compiti di gestione dello studio associato. L’atto costitutivo e lo statuto determinano: * il numero dei componenti dell’organo di amministrazione; * i compiti di gestione e amministrazione delegati all’organo amministrativo e quelli riservati all’assemblea degli associati; * la durata in carica e le modalità di nomina dell’organo amministrativo; * le modalità di convocazione dell’assemblea degli associati; * le modalità di ripartizione degli utili. Ogni eventuale variazione dell’atto costitutivo, dello statuto e dell’elenco dei soci, nonché l’eventuale cessazione dell’attività dovrà essere comunicata al Collegio provinciale e accompagnata da copia degli estratti dei verbali assembleari.

    Art. 55 Lo studio associato può essere costituito fra iscritti a Collegi provinciali limitrofi fino ad un massimo di 5 (cinque) province. In tal caso gli adempimenti di cui agli articoli 52, 53 e 54 vengono effettuati nei confronti di tutti i Collegi interessati. Qualora esista un organo di amministrazione esso deve essere costituito con la presenza di almeno un iscritto per ogni Collegio provinciale interessato. Titolo VII – Cooperative sociali

    Art. 56 L’infermiere può esercitare la libera professione in forma associata tramite le cooperative sociali regolarmente costituite ai sensi della legge 381/91 e del presente regolamento. La cooperativa sociale può essere costituita esclusivamente: * da liberi professionisti iscritti al Collegio IPASVI da iscritti in altri Albi professionali relativi a professioni sanitarie integrabili all’attività infermieristica; * da liberi professionisti il cui profilo professionale è previsto dai decreti ministeriali relativi ad attività sanitarie, purché sia rispettato il criterio dell’integrabilità. Il Collegio provinciale potrà, con delibera del consiglio direttivo, accettare la presenza di soci lavoratori diversi dalle figure elencate sopra per l’espletamento di attività di natura non sanitaria. Tale presenza non dovrà in alcun modo limitare le garanzie di un corretto esercizio dell’attività infermieristica. 

    Art. 57 La cooperativa sociale notifica al Collegio provinciale almeno dieci giorni prima dell’inizio dell’attività infermieristica: * l’atto costitutivo e lo statuto; * copia del certificato di attribuzione del codice fiscale e partita IVA * l’elenco dei soci infermieri; * l’elenco degli altri soci; * il nominativo degli infermieri responsabili per l’area infermieristica.

    Art. 58 Eguale comunicazione prevista dall’articolo 57 deve essere effettuata al Collegio IPASVI della provincia in cui la cooperativa sociale eserciti in modo non occasionale attività infermieristica. 

    Art. 59 La cooperativa sociale può esercitare attività infermieristica esclusivamente attraverso soci iscritti al Collegio IPASVI Nel consiglio di amministrazione della cooperativa sociale dovrà essere presente almeno un iscritto al Collegio IPASVI che assumerà il compito di responsabile dell’attività infermieristica e di referente nel confronto del Collegio provinciale. Le cooperative sociali dovranno rispettare in ogni caso le prescrizioni regolamentari e legislative previste per gli studi associati richiedendo il nulla osta al Collegio per ogni forma di pubblicità diretta o indiretta. Ogni eventuale variazione dell’atto costitutivo, dello statuto e elenco dei soci, nonché l’eventuale cessazione dell’attività dovrà essere comunicata al Collegio provinciale ed accompagnata da copia degli estratti dei verbali assembleari.

    Art. 60 La cooperativa sociale può essere costituita fra iscritti a Collegi provinciali limitrofi fino ad un massimo di 5 (cinque) province. In tal caso gli adempimenti di cui agli articoli 57, 58 e 59 vengono effettuati nei confronti di tutti i Collegi interessati. Nel caso di cooperativa sociale operante in più di una provincia il Consiglio di amministrazione deve essere costituito con la presenza di almeno un iscritto per ogni Collegio provinciale IPASVI interessato. Titolo Vlll – Norme anti-trust  

     Art. 61 In ogni caso nessuna forma associata potrà riunire un numero di liberi professionisti tale da determinare situazioni di alterazione del principio della libera concorrenza. È compito di ogni singolo Collegio provinciale determinare i limiti dimensionali in funzione del numero degli infermieri esercenti la libera professione. A seguito di notifica da parte del Collegio del limite lo studio associato o la cooperativa sociale dovrà cessare ogni nuova adesione che potrà riprendere solo previo adeguamento al limite massimo.

     Art. 62 In ogni caso l’applicazione delle tariffe professionali non dovrà comportare cartelli tariffari o accordi collusivi tali da creare situazioni di lesione della libera concorrenza. 

    Art. 63 In nessun caso infermieri esercenti in forma individuale o in forma associata potranno assumere incarichi professionali in misura superiore alla capacità dimensionale esistente all’atto dell’assunzione dell’incarico. Titolo IX – Norme finali

     Art. 64 Le presenti norme costituiscono impegno di comportamento al cui rispetto ed osservanza sono tenuti tutti gli infermieri liberi professionisti e, per quanto a loro compete, tutti gli iscritti ai Collegi provinciali IPASVI.

     Art. 65 Ogni Collegio provinciale provvede alla redazione e alla pubblicizzazione dell’elenco degli infermieri esercenti la libera professione in forma individuale ed associata.  

    Art. 66 L’inosservanza delle presenti norme di comportamento costituisce abuso o mancanza nell’esercizio della professione o fatto disdicevole al decoro professionale, perseguibile disciplinarmente ai sensi degli articoli 38 e seguenti del DPR del 5 aprile 1950, n. 221 .

    Leggi l' articolo completo su: http://thedailynurse.eu/blog/2013/11/18/norme-di-comportamento-per-la-libera-professione/ | The Daily Nurse





































    LIPODISTROFIA TOTALE

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    LIPODISTROFIA TOTALE

    Codice esenzione : RC0080
    SINDROME DI LAWRENCE SEIP fa riferimento a LIPODISTROFIA TOTALE
    Definizione
    Le lipodistrofie sono un gruppo di malattie metaboliche rare contraddistinte da anomalie del tessuto adiposo, perdita generalizzata o parziale del grasso corporeo, alterazioni del metabolismo glucidico e lipidico, importante resistenza all'insulina endogena ed esogena e disordini immunologici.
    Queste malattie si differenziano tra loro per la distribuzione anatomica del tessuto distrofico e per il grado di interessamento sistemico. Le lipodistrofie si possono classificare in tre gruppi principali: totali, parziali e localizzate (Stein JH, Internal Medicine, Fifth Edition, 1998).
    La lipodistrofia generalizzata e una malattia rara che si puo classificare in congenita o acquisita in base all'eta di presentazione e al tipo di trasmissione ereditaria. La forma congenita di lipodistrofia generalizzata, o sindrome di Lawrence-Seip, ha trasmissione autosomica recessiva e si manifesta nei primi due anni di vita. La diagnosi si basa sulla perdita del grasso corporeo, ipertrofia muscolare, acantosi nigricans, irsutismo, steatosi epatica con epatomegalia, iperlipidemia e iperglicemia con insulino-resistenza (Wacharasindhu et al. Congenital generalized lipodystrophy, a case report. Southeast-Asian-J-Trop-Med-Public-Health. 1995;26(Suppl 1):44-6).
    La patogenesi della forma acquisita sembra implicare la distruzione autoimmune del tessuto adiposo a cui consegue una sindrome anabolica con diabete insulino-resistente. Quando la perdita di tessuto adiposo diventa generalizzata la malattia ricorda la forma congenita anche se le alterazioni anaboliche tendono ad essere meno spiccate (Nelson, Textbook of Pediatrics, XVI Edition, 2000).

    Segni e sintomi
    La lipodistrofia generalizzata congenita (LGC) e una malattia autosomica recessiva estremamente rara descritta per la prima volta da Berardinelli e Seip. Si puo manifestare in tutti i gruppi etnici e, stimando che i 120 casi registrati nell'arco di 44 anni corrispondano a circa il 25 percento dei casi effettivi, la prevalenza della malattia e approssimativamente di 1 caso su 12 milioni di individui (Garg A. Lipodystrophies. Am J Med. 2000;108(2):143-52).
    I principali elementi diagnostici della LGC comprendono un'assenza pressoche totale del grasso corporeo e un marcato aspetto muscolare presenti a partire dalla nascita.
    Nei bambini si ha un accrescimento lineare accelerato e un'eta ossea superiore alla cronologica, ma i livelli plasmatici dell'ormone della crescita (GH) e del fattore di crescita insulino-simile di tipo 1 (IGF-I) sono nella norma (Harrison's Principles Of Internal Medicine, 15th Edition, 2001). Anche se i livelli di GH rientrano nella norma e possibile che sia alterata la sua risposta agli stimoli secretori; la presenza nel siero dei malati di fattori di rilascio ipotalamici normalmente assenti suggerisce un deficit nella regolazione ipotalamica (Nelson, Textbook of Pediatrics, XVI Edition, 2000). Il metabolismo basale dei malati e piuttosto elevato, ma non e chiaro se questo stato ipermetabolico derivi da un aumentato tono simpatico o se sia una risposta compensatoria alla dispersione termica causata dalla carenza del grasso corporeo.
    Altre caratteristiche sono acantosi nigricans, estroflessione od ernia ombelicale e un aspetto acromegalico con lineamenti somatici marcati e ingrossamento di mani e piedi; in alcuni casi si manifestano irsutismo e iperidrosi.
    Durante l'infanzia puo manifestarsi steatosi epatica che e in grado di condurre a cirrosi e alle sue complicanze; l'ingrossamento di fegato, milza e reni puo dare protrusione dell'addome
    Alcuni pazienti sviluppano cardiomiopatia ipertrofica che raramente porta a scompenso cardiaco (Harrison's Principles of Internal Medicine, 15th Edition, 2001).
    Si manifestano comunemente igrossamento dei genitali, ritardo mentale ed emiplegia (Nelson, Textbook of Pediatrics, XVI Edition, 2000).
    Nel periodo postpuberale le donne possono presentare clitoromegalia, lieve irsutismo, policistosi ovarica e oligomenorrea. Raramente donne affette da LGC portano a termine una gravidanza, mentre i malati di sesso maschile hanno una normale capacita riproduttiva. Nell'infanzia puo essere osservato un aumento delle dimensioni del pene.
    Dopo la puberta la scheletro assume un aspetto sclerotico e nelle ossa appendicolari si sviluppano lesioni litiche focali. Alcuni pazienti sviluppano gozzo.
    I malati di LGC hanno livelli sierici di insulina a digiuno e di peptide C molto elevati e sono insulino-resistenti. Il diabete mellito compare durante la puberta e l'analisi istologica del pancreas evidenzia amiloidosi delle insule con perdita delle ?-cellule. Data la riduzione del tessuto adiposo ci sono bassi livelli di leptina. I livelli di acidi grassi liberi sono normali, durante l'infanzia si puo osservare ipertrigliceridemia e i pazienti sviluppano chilomicronemia, xantomi eruttivi e pancreatite acuta. Sono comuni basse concentrazioni di colesterolo HDL (Harrison's Principles of Internal Medicine, 15th Edition, 2001).

    E stato osservato dimorfismo sessuale nella gravita delle complicanze metaboliche: le donne sono colpite da diabete e ipertrigliceridemia molto prima e in maniera piu severa rispetto ai consanguinei maschi.
    Un'altra caratteristica rilevante nei pazienti particolarmente poveri di tessuto adiposo e il comportamento alimentare: analogamente a pazienti bulimici possono consumare grandi quantita di cibo e hanno un continuo desiderio di alimentarsi . Questo comportamento si associa a bassi livelli di leptina che potrebbero contribuire all'aumentato appetito (Oral EA. Lipoatrophic diabetes and other related syndromes. Rev Endocr Metab Disord 2003;4(1):61-77).
    La lipodistrofia generalizzata acquisita (LGA o sindrome di Lawrence) e stata descritta in circa 50 pazienti, e tre volte piu comune nelle femmine che nei maschi ed e contraddistinta dalla perdita generalizzata del tessuto adiposo che avviene soprattutto nell'infanzia e nell'adolescenza. Nel corso di diversi mesi o anni la perdita del grasso corporeo colpisce il viso, il collo, il tronco e gli arti ponendo in risalto le vene superficiali e i muscoli. La perdita del tessuto adiposo puo interessare anche le zone palmari e plantari. Il diabete mellito non chetotico compare solitamente dopo lo sviluppo della lipodistrofia e le alterazioni metaboliche sono simili a quelle della lipodistrofia generalizzata congenita (Harrison's Principles Of Internal Medicine, 15th Edition, 2001).
    Di solito la malattia inizia nell'infanzia o nell'adolescenza, raramente dopo i trentanni, e nella maggior parte dei casi l'esordio e subdolo e si realizza nell'arco di mesi o anni. Tuttavia in alcuni pazienti l'esordio puo essere piuttosto rapido con il tessuto sottocutaneo che scompare entro poche settimane. A volte la perdita del grasso inizia in una sola regione corporea e avviene rapidamente, poi il processo si blocca, anche per diversi mesi, per poi riattivarsi portando alla riduzione del grasso in tutto il corpo. Nelle prime fasi della malattia i pazienti possono pertanto essere erroneamente diagnosticati con la forma localizzata o parziale di lipodistrofia e solo in seguito alle ampie perdite di tessuto sottocutaneo si giunge alla diagnosi di LGA. In alcune occasioni la lipodistrofia e riconosciuta solo dopo la comparsa di iperglicemia e diabete, ma la perdita del grasso corporeo continua nonostante il raggiungimento di un buon controllo glicemico.

    E stato riportato che episodi infettivi multipli o isolati precedono la comparsa di LGA (Misra A, Garg A. Clinical features and metabolic derangements in acquired generalized lipodystrophy: case reports and review of the literature. Medicine. 2003;82(2):129-46). Nonostante molti pazienti riferiscano infezioni antecedenti quali varicella, morbillo, pertosse, difterite, polmonite, osteomielite, parotite, mononucleosi infettiva ed epatite non e stato accertato che tali infezioni causino la lipodistrofia generalizzata acquisita (Garg A. Lipodystrophies. Am J Med. 2000;108(2):143-52).
    In molti pazienti acantosi nigricans e steatosi epatica si sviluppano a partire dall'infanzia; circa un quinto dei malati sviluppa cirrosi come complicanza della steatosi epatica o di epatite autoimmune. La maggior parte dei pazienti ha bassi livelli di leptina e adiponectina.
    In circa il 25 percento dei pazienti la comparsa della LGA e preceduta da un episodio di infiammazione sottocutanea nodulare denominata pannicolite. Inizialmente le lesioni nodulari guariscono con una perdita localizzata del grasso sottocutaneo, ma in seguito la perdita interessa tutte le regioni sottocutanee portando alla lipodistrofia generalizzata. In un altro 25 percento dei malati vi e l'associazione con malattie autoimmuni, in particolare con la dermatomiosite giovanile. Circa la meta dei malati di LGA ha la variante idiopatica in cui non c'e l'associazione con pannicolite o malattie autoimmuni. I pazienti in cui la pannicolite e l'evento iniziale hanno una minore perdita di tessuto adiposo e una minor prevalenza di diabete e di ipertrigliceridemia rispetto ai pazienti con le altre forme della malattia.
    Nei malati con pannicolite antecedente e malattie autoimmuni concomitanti si pensa che la perdita di tessuto adiposo sia immuno-mediata, ma con ogni probabilita nella forma idiopatica sono implicati altri meccanismi (Garg A. Acquired and inherited lipodystrophies. N Engl J Med. 2004;350(12):1220-34).

    Storia naturale
    Le principali cause di mortalita e morbilita nei pazienti lipodistrofici sono il diabete mellito e le sue complicanze a lungo termine, i ricorrenti episodi di pancreatite acuta dovuti all'importante ipertrigliceridemia, la cirrosi che consegue alla steatosi epatica di lunga data e la malattia aterosclerotica. Inoltre molte delle persone affette provano un profondo disagio psichico a causa del loro aspetto, soprattutto per quanto riguarda la perdita del tessuto adiposo facciale (Garg A. Acquired and inherited lipodystrophies. N Engl J Med. 2004;350(12):1220-34).

    Eziologia
    I meccanismi responsabili dell'insulino-resistenza e delle complicanze metaboliche dei soggetti lipodistrofici non sono stati chiariti a sufficienza. Dato che tali complicanze si manifestano sia nei pazienti con varie forme di lipodistrofia che in molteplici modelli animali e che la loro gravita e proporzionale alla perdita di tessuto adiposo e stata ipotizzata l'esistenza di un meccanismo comune.
    In assenza di un'adeguata capacita adipocitaria le calorie in eccesso non possono essere indirizzate verso il loro abituale deposito ma vengono invece accumulate sotto forma di trigliceridi nel fegato, nel muscolo scheletrico e cardiaco e nelle ? cellule pancreatiche.

    Gli adipociti, oltre ad avere una funzione passiva di deposito, secernono attivamente un certo numero di peptidi (adipocitochine) che possono influenzare la sensibilita insulinica e/o il bilancio energetico. Queste molecole comprendono potenziali insulino-sensibilizzanti, come la leptina e l'Acrp 30 (nota anche come adiponectina), e antagonisti insulinici, come il fattore di necrosi tumorale alfa (TNF-'), l'interleuchina 6 (IL-6) e probabilmente la resistina. L' insulino-resistenza della lipodistrofia potrebbe percio essere il risultato di una alterazione nei flussi lipidici e/o nella secrezione degli adipociti (Savage DB, O'Rahilly S. Leptin: a novel therapeutic role in lipodystrophy. J Clin Invest. 2002;109(10):1345-50).
    La policistosi ovarica, l'acantosi nigricans e le alterazioni acromegaliche potrebbero essere legate all'azione di promozione dell'accrescimento svolta dall'iperinsulinemia e mediata direttamente dal recettore insulinico oppure, indirettamente, dal recettore per il fattore di crescita insulino-simile di tipo 1 (IGF-1 R).
    L'assenza di tessuto adiposo potrebbe derivare da un'agenesia o da un blocco differenziativo dei preadipociti oppure da una incapacita degli adipociti maturi di sintetizzare o immagazzinare trigliceridi. Diversi geni candidati sono stati esclusi, compresi il recettore insulinico e ?3-adrenergico, la proteina legante gli acidi grassi di tipo 2, il substrato 1 del recettore insulinico, la lipasi ormono-sensibile la leptina e il recettore gamma dei proliferatori dei perossisomi (PPAR-') (Harrison's Principles of Internal Medicine, 15th Edition, 2001).
    Sono state individuate due forme molecolarmente distinte di lipodistrofia generalizzata congenita (LGC): il tipo 1 e il tipo 2.
    LGC di tipo 1: in pazienti di gruppi familiari diversi in cui la lipodistrofia era stata associata al cromosoma 9q34, la tecnica di clonaggio posizionale ha permesso di individuare mutazioni nel gene per l'1-acilglicerolo-3-fosfato O-aciltransferasi 2 (AGPAT2). Le 5 isoforme attualmente conosciute di AGPAT catalizzano reazioni stereospecifiche di acilazione in posizione 2 del glicerolo-3-fosfato durante la biosintesi di trigliceridi e fosfolipidi. L'espressione dell' AGPAT2 e due volte quella dell' AGPAT1 nel tessuto adiposo omentale, ma risulta inferiore a questa nel fegato e soprattutto nel muscolo scheletrico; questi dati suggeriscono che l' AGPAT2 mutato possa causare la lipodistrofia riducendo la sintesi dei trigliceridi nel tessuto adiposo e generando di conseguenza adipociti poveri di trigliceridi, oppure riducendo la biodisponibilita di acido fosfatidico e fosfolipidi che hanno un ruolo importante nella comunicazione intercellulare e nelle funzioni di membrana. I malati mancano di tessuto adiposo metabolicamente attivo nella maggior parte delle regioni sottocutanee, addominali, intratoraciche e midollari mentre si mostra conservato il tessuto adiposo con funzione di protezione meccanica localizzato nelle articolazioni, regioni palmari e plantari, scalpo, perineo, vulva e spazio pericapsulare renale. Il risparmio del tessuto adiposo meccanico nei pazienti con mutazioni dell' AGPAT2 potrebbe essere dovuto ad una aumentata espressione di altre isoforme di AGPAT in queste sedi.
    LGC di tipo 2: in pazienti di vari pedigree consanguinei di origine libanese e norvegese, in cui era stata individuata una associazione col cromosoma 11q13, Magre e collaboratori hanno accertato mutazioni nel gene seipin. Questo gene codifica per una proteina di 398 aminoacidi con funzione sconosciuta e percio rimane oscuro il meccanismo alla base della lipodistrofia; in ogni caso il fatto che nei malati l'espressione dell'm RNA seipin sia elevata nel cervello e bassa nel tessuto adiposo depone per un coinvolgimento del sistema nervoso centrale. Pazienti con mutazioni seipin hanno una maggior prevalenza di modesto ritardo mentale e cardiomiopatia ipertrofica rispetto a quelli con mutazioni a carico dell'AGPAT e sono privi anche del tessuto adiposo con funzione meccanica.
    Alcuni pazienti con LGC (meno del 20 percento) non hanno ne mutazioni ne associazioni con i geni AGPAT2 o seipin ed e percio probabile che in questi casi siano interessati altri loci o vie biochimiche (Garg A. Acquired and inherited lipodystrophies. N Engl J Med. 2004;350(12):1220-34).

    Diagnosi
    Per la lipodistrofia generalizzata congenita sono stati suggeriti i seguenti criteri diagnostici: carenza generalizzata dei depositi di grasso corporeo ed estrema muscolarita presenti a partire dalla nascita (criterio essenziale), acantosi nigricans, aspetto acromegaloide, ernia ombelicale, clitoromegalia e modesto irsutismo nelle donne, marcata iperinsulinemia a digiuno o postprandiale, comparsa durante la puberta di ridotta tolleranza al glucosio o diabete, ipertrigliceridemia con bassi livelli di colesterolo HDL e caratteristica distribuzione del tessuto adiposo alla risonanza magnetica nucleare (criterio di conferma).
    Per la diagnosi di lipodistrofia generalizzata acquisita sono suggeriti i seguenti criteri: carenza globale di grasso sottocutaneo ed estrema muscolarita che compaiono durante o dopo l'infanzia (criterio essenziale), perdita del pannicolo sottocutaneo nelle regioni palmari e plantari, marcata iperinsulinemia a digiuno o postprandiale, ridotta tolleranza al glucosio o diabete, ipertrigliceridemia con bassi livelli di colesterolo HDL, infiammazione nodulare sottocutanea (pannicolite) che precede la comparsa della lipodistrofia e presenza di malattie autoimmuni.
    I pazienti con lipodistrofia vanno distinti dai malati di sindrome SHORT (bassa statura, iperestensibilita articolare, enoftalmo, anomalia di Rieger dentaria e oculare e ritardo di dentizione), alcuni dei quali possono perdere tessuto adiposo dal volto,estremita superiori, tronco e addome; dagli affetti di sindrome di Werner, che hanno arti magri ma tessuto sottocutaneo conservato, e dai pazienti con sindrome neonatale progeroide (sindrome di Wiedemann-Rautenstrauch) in cui la carenza quasi totale di tessuto adiposo risparmia la regione gluteale.
    Vanno posti in diagnosi differenziale anche i pazienti con leprecaunismo, che alla nascita hanno pannicolo adiposo ridotto e muscolatura scarsamente sviluppata; i pazienti con lipomatosi multipla simmetrica (malattia di Madelung); i pazienti con sindrome di Cushing e tutti coloro che per motivi diversi vanno incontro a importante calo ponderale con perdita sia di massa muscolare che di tessuto adiposo, ma che non presentano ipertrigliceridemia o intolleranza al glucosio (Garg A. Lipodystrophies. Am J Med. 2000;108(2):143-52).

    Terapia
    I pazienti lipodistrofici hanno problemi estetici che richiedono una adeguato trattamento; la ricostruzione facciale puo essere ottenuta mediante lembi liberi (free flaps), trasposizione di muscoli facciali e protesi siliconiche o di altro materiale (Harrison's Principles of Internal Medicine, 15th Edition, 2001).
    Ai malati con valori elevati di trigliceridi va consigliato di seguire una dieta ipolipidica, possibilmente una in cui meno del 15 percento delle calorie totali siano fornite dai lipidi in modo da evitare la comparsa di chilomicronemia. Dovrebbero inoltre impegnarsi in un regolare programma di attivita fisica allo scopo di migliorare la sensibilita insulinica e la dislipidemia (Garg A. Acquired and inherited lipodystrophies. N Engl J Med. 2004;350(12):1220-34). In ogni caso i bambini devono sempre disporre dell'energia necessaria per un adeguato sviluppo e accrescimento (Harrison's Principles of Internal Medicine, 15th Edition, 2001). Uno stretto controllo glicemico migliora l'ipertrigliceridemia, se essa dovesse permanere nonostante una dieta adeguata, l'esercizio fisico regolare e il mantenimento dell'euglicemia, allora i pazienti vanno posti in terapia con fibrati e alte dosi di acidi grassi polinsaturi omega-3 contenuti nel grasso di pesce. Gli estrogeni usati a scopo contraccettivo, per la policistosi ovarica o come terapia ormonale sostitutiva tendono a peggiorare l'ipertrigliceridemia e dovrebbero essere evitati (Garg A. Acquired and inherited lipodystrophies. N Engl J Med. 2004;350(12):1220-34).
    In soggetti affetti da lipodistrofia generalizzata congenita (LGC) il controllo del diabete puo richiedere dosi di insulina estremamente alte, possono essere somministrati anche ipoglicemizzanti orali (Harrison's Principles of Internal Medicine, 15th Edition, 2001). La metformina, che ha il vantaggio aggiuntivo di poter ridurre l'appetito e la steatosi epatica, e un'opzione terapeutica particolarmente interessante (Garg A. Acquired and inherited lipodystrophies. N Engl J Med. 2004;350(12):1220-34).
    Come precedentemente accennato il diabete e l'ipertrigliceridemia che caratterizzano la lipodistrofia potrebbero essere causati dalla mancanza delle sostanze ormonali prodotte dagli adipociti. Il gruppo di ricerca di Shimomura ha somministrato uno di tali ormoni, la leptina, a topi lipodistrofici. Prima dell'esperimento i topi erano affetti da diabete, ipertrigliceridemia, steatosi epatica e avevano livelli di leptina molto bassi; dopo tre settimane di terapia a base di leptina si e avuto un miglioramento dei disturbi metabolici e una riduzione nel grado di steatosi. Questi risultati ottenuti in un modello animale hanno richiesto l'esecuzione di un trial clinico che e stato pubblicato di recente. E stato reso noto che nove pazienti di sesso femminile affetti da varie forme di lipodistrofia (cinque con la forma generalizzata congenita, tre con quella generalizzata acquisita e una con la lipodistrofia parziale familiare di Dunnigan) sono state trattate per quattro mesi con somministrazioni sottocutanee di leptina in modo da raggiungere concentrazioni fisiologiche dell'ormone. I livelli di leptina sono aumentati da una media inferiore ai 2 ng/mL a una media di 12 ng/mL indicando un sostanziale raggiungimento della sostituzione ormonale; e stato misurato un importante calo sia dell'iperglicemia che dell'ipertrigliceridemia cosi come un miglioramento della sensibilita globale all'insulina e una riduzione del volume epatico. Inoltre in sette pazienti sono state studiate le alterazioni riproduttive: la terapia con leptina ha corretto l'amenorrea in tutte le cinque pazienti che avevano un apparato riproduttivo normale e ha normalizzato la ridotta risposta dell'ormone luteinizzante (LH) al proprio fattore di rilascio (LHRH). Questo studio sulla sostituzione leptinica avra il probabile effetto di incoraggiare studi analoghi in cui la sostituzione di ormoni specifici degli adipociti sara usata per correggere disturbi metabolici. La leptina corregge in modo sostanziale i difetti metabolici nella maggioranza dei pazienti ed essa non e l'unico ormone prodotto dagli adipociti. Infatti, in un modello animale di lipodistrofia la terapia sostitutiva combinata con leptina e adiponectina ha portato ad un miglior controllo metabolico rispetto alla sola leptina. Il gruppo di Hacque ha recentemente riferito che i pazienti con le forme piu severe di lipodistrofia sono deficienti in adiponectina, oltre che in leptina, e percio la sostituzione combinata sembra un approccio terapeutico razionale da intraprendere non appena sara disponibile l'adiponectina ricombinante per la sperimentazione umana (Oral EA. Lipoatrophic diabetes and other related syndromes. Rev Endocr Metab Disord. 2003;4(1):61-77).
    I tiazolidinedioni che agiscono come ligandi del recettore gamma dei proliferatori dei perossisomi (PPAR-') sono potenzialmente capaci di modulare la differenziazione adipocitaria; e stato descritto che una molecola di questa famiglia, il troglitazone, e in grado di aumentare il grasso corporeo totale del 2,4 percento in varie forme di lipodistrofia (Misra A, Garg A. Clinical features and metabolic derangements in acquired generalized lipodystrophy: case reports and review of the literature. Medicine. 2003;82(2):129-46).

    Bibliografia
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    Dipendenti pubblici: per le assenze per visite ed esami basta l'autocertificazione

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    Dipendenti pubblici: per le assenze per visite ed esami basta l'autocertificazione
    15 APRILE 2014 La circolare della Funzione pubblica in Gazzetta
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    E' pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n. 85 dell'11 aprile la circolare (CLICCA) della Funzione pubblica n. 2/2014 che indica la possibilità di autocertifcazione - con tanto di modulo prestampato da compilare - per i dipendenti pubblici che si assentano dal posto di lavoro per sottoporsi ad esami clinici, visite specialistiche o terapie.
    Si tratta dell'autocertificazione della propria presenza nella struttura sanitaria pubblica o privata e se la struttura rilascia un'attestazione, questa dovrà contenere la qualifica del soggetto che la redige e l'orario di entrata e di uscita del dipendente, ma, ovviamente, nessun riferimento alla diagnosi perché non si tratta di una certificazione di malattia.

    L'autocertificazione di presenza sostituisce la giustificazione dell'assenza mediante attestazione redatta dal medico o dal personale amministrativo della struttura pubblica o privata che ha erogato la prestazione (attestazione di presenza). Scarica il  modello di autocertificazione
    Assenze periodiche
    Nel caso di dipendenti che debbono sottoporsi periodicamente, anche per lunghi periodi, a terapie che li rendono incapaci al lavoro, spiega ancora la circolare, per semplificare le procedureè considerata sufficiente anche un'unica certificazione (che, per queste ipotesi, potrà essere cartacea) del medico curante che attesti la necessità di trattamenti sanitari ricorrenti con incapacità lavorativa, secondo cicli o un calendario stabilito dal medico.
    Assenteismo nella P.A.: la circolare della Funzione Pubblica sull´attestazione di presenza in caso di assenza per malattia per l´espletamento di visite, terapie, prestazioni specialistiche od esami diagnostici
    Circolare della Presidenza del Consiglio dei Ministri
    E´ stata pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n. 85 del 11.4.2014 la circolare n. 2/2014 della Presidenza del Consiglio dei Ministri, Dip. Funzione Pubblica, registrata alla Corte dei conti il 19 marzo 2014, n. 787, diretta a tutte le amministrazioni pubbliche di cui all´articolo 1, comma 2, del decreto legislativo n. 165 del 2001 per con la quale si forniscono indirizzi applicativi della disposizione in materia di malattia dei pubblici dipendenti prevista dalla legge n. 125 del 30 ottobre 2013, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 255 del 30 ottobre 2013, che ha convertito in legge con modifiche il decreto-legge n. 101 del 31 agosto 2013, recante «Disposizioni urgenti per il perseguimento di obiettivi di razionalizzazione nelle pubbliche amministrazioni».
    La legge di conversione, modificando il citato decreto-legge, infatti, introduce una disposizione in materia di assenze per malattia dei pubblici dipendenti al fine di contrastare il fenomeno dell´assenteismo nelle amministrazioni. In particolare, l´art. 4, comma 16-bis, del decreto, in vigore dal 31 ottobre 2013, ha novellato il comma 5-ter dell´art. 55-septies del d.lgs. n. 165 del 30 marzo 2001, sulle assenze per visite, terapie, prestazioni specialistiche ed esami diagnostici dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni, mentre resta invariato il regime della giustificazione dell´assenza di cui al comma 1 del medesimo articolo. Il citato art. 55-septies, comma 5-ter, del d.lgs. 165 del 2001, come novellato, prevede Che «Nel caso in cui l´assenza per malattia abbia luogo per l´espletamento di visite, terapie, prestazioni specialistiche od esami diagnostici il permesso e´ giustificato mediante la presentazione di attestazione, anche in ordine all´orario, rilasciata dal medico o dalla struttura, anche privati, che hanno svolto la visita o la prestazione o trasmesse da questi ultimi mediante posta elettronica.».
    A seguito dell´entrata in vigore della novella, per l´effettuazione di visite, terapie, prestazioni specialistiche od esami diagnostici il dipendente deve fruire dei permessi per documentati motivi personali, secondo la disciplina dei CCNL, o di istituti contrattuali similari o alternativi (come i permessi brevi o la banca delle ore ). La giustificazione dell´assenza, ove cio´ sia richiesto per la fruizione dell´istituto (es.: permessi per documentati motivi personali), avviene mediante attestazione redatta dal medico o dal personale amministrativo della struttura pubblica o privata che ha erogato la prestazione (attestazione di presenza). L´attestazione di presenza e´ consegnata al dipendente per il successivo inoltro all´amministrazione di appartenenza oppure trasmessa direttamente a quest´ultima per via telematica a cura del medico o della struttura. Nel caso di trasmissione telematica, la mail dovra´ contenere il file scansionato in formato PDF dell´attestazione. Dall´attestazione debbano risultare la qualifica e la sottoscrizione del soggetto che la redige, l´indicazione del medico e/o della struttura presso cui si e´ svolta la visita o la prestazione, il giorno, l´orario di entrata e di uscita del dipendente dalla struttura sanitaria erogante la prestazione. Al riguardo, va chiarito che l´attestazione di presenza non e´ una certificazione di malattia e, pertanto, essa non deve recare l´indicazione della diagnosi. Inoltre, al fine di evitare la comunicazione impropria di dati personali, l´attestazione non deve indicare il tipo di prestazione somministrata.
    Per il caso di concomitanza tra l´espletamento di visite specialistiche, l´effettuazione di terapie od esami diagnostici e la situazione di incapacita´ lavorativa, trovano applicazione le ordinarie regole sulla giustificazione dell´assenza per malattia; in questa ipotesi, il medico (individuato in base a quanto previsto dall´art. 55-septies, comma 1, del d.lgs. n. 165 del 2001 e dalla circolare n. 7 del 2008, par. 1) redige la relativa attestazione di malattia che viene comunicata all´amministrazione secondo le consuete modalità (circolari nn. 1 e 2 DFP/DDI/ del 2010) e, in caso di controllo medico legale, l´assenza dal domicilio dovra´ essere giustificata mediante la produzione all´amministrazione, da parte del dipendente, dell´attestazione di presenza presso la struttura sanitaria (salva l´avvenuta trasmissione telematica ad opera del medico o della struttura stessa). Come di regola, il ricorso all´istituto dell´assenza per malattia comporta la conseguente applicazione della disciplina legale e contrattuale in ordine al trattamento giuridico ed economico. Nel caso di dipendenti che, a causa delle patologie sofferte, debbono sottoporsi periodicamente, anche per lunghi periodi, a terapie comportanti incapacita´ al lavoro, a fini di semplificazione si ritiene che possa essere sufficiente anche un´unica certificazione (che, per queste ipotesi, potra´ essere cartacea) del medico curante che attesti la necessita´ di trattamenti sanitari ricorrenti comportanti incapacita´ lavorativa, secondo cicli o un calendario stabilito dal medico. Gli interessati dovranno produrre tale certificazione all´amministrazione prima dell´inizio della terapia, fornendo il calendario previsto. A tale certificazione dovranno poi far seguito le singole attestazioni di presenza - redatte e trasmesse come sopra indicato - dalle quali risulti l´effettuazione delle terapie nelle singole giornate. In questi casi l´attestazione di presenza dovra´ contenere anche l´indicazione che la prestazione e´ somministrata nell´ambito del ciclo o calendario di terapia prescritto dal medico curante.
    Si rammenta infine che l´attestazione di presenza puo´ anche essere documentata mediante dichiarazione sostitutiva di atto notorio (per un modello di dichiarazione si veda l´allegato) redatta ai sensi del combinato disposto degli artt. 47 e 38 del d.P.R. n. 445 del 2000. Rimane fermo in tal caso che le amministrazioni dovranno richiedere dichiarazioni dettagliate e circostanziate; le stesse dovranno inoltre attivare i necessari controlli sul loro contenuto ai sensi dell´art. 71 del citato decreto, provvedendo alla segnalazione all´autorita´ giudiziaria penale e procedendo per l´accertamento della responsabilita´ disciplinare nel caso di dichiarazioni mendaci (art. 76 d.P.R. n. 445 del 2000).
    Fonte: http://www.infermieristicamente.it/














    Codice deontologico

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    Codice deontologico

    Il Codice deontologico dell'Infermiere
    Approvato dal Comitato centrale della Federazione con deliberazione n.1/09 del 10 gennaio 2009
    e dal Consiglio nazionale dei Collegi Ipasvi riunito a Roma nella seduta del 17 gennaio 2009

    Capo I
    Articolo 1
    L'infermiere è il professionista sanitario responsabile dell'assistenza infermieristica.
    Articolo 2


    L'assistenza infermieristica è servizio alla persona, alla famiglia e alla collettività. Si realizza attraverso interventi specifici, autonomi e complementari di natura intellettuale, tecnico-scientifica, gestionale, relazionale ed educativa. 

    Articolo 3
    La responsabilità dell'infermiere consiste nell’assistere, nel curare e nel prendersi cura della persona nel rispetto della vita, della salute, della libertà e della dignità dell'individuo. 

    Articolo 4
    L'infermiere presta assistenza secondo principi di equità e giustizia, tenendo conto dei valori etici, religiosi e culturali, nonché del genere e delle condizioni sociali della persona. 

    Articolo 5
    Il rispetto dei diritti fondamentali dell'uomo e dei principi etici della professione è condizione essenziale per l'esercizio della professione infermieristica. 

    Articolo 6
    L'infermiere riconosce la salute come bene fondamentale della persona e interesse della collettività e si impegna a tutelarla con attività di prevenzione, cura, riabilitazione e palliazione. 

    Capo II
    Articolo 7
    L’infermiere orienta la sua azione al bene dell'assistito di cui attiva le risorse sostenendolo nel raggiungimento della maggiore autonomia possibile, in particolare, quando vi sia disabilità, svantaggio, fragilità. 

    Articolo 8
    L’infermiere, nel caso di conflitti determinati da diverse visioni etiche, si impegna a trovare la soluzione attraverso il dialogo. Qualora vi fosse e persistesse una richiesta di attività in contrasto con i principi etici della professione e con i propri valori, si avvale della clausola di coscienza, facendosi garante delle prestazioni necessarie per l’incolumità e la vita dell’assistito.

    Articolo 9
    L’infermiere, nell'agire professionale, si impegna ad operare con prudenza al fine di non nuocere. 

    Articolo 10
    L'infermiere contribuisce a rendere eque le scelte allocative, anche attraverso l'uso ottimale delle risorse disponibili. 

    Capo III
    Articolo 11
    L'infermiere fonda il proprio operato su conoscenze validate e aggiorna saperi e competenze attraverso la formazione permanente, la riflessione critica sull'esperienza e la ricerca. Progetta, svolge e partecipa ad attività di formazione. Promuove, attiva e partecipa alla ricerca e cura la diffusione dei risultati. 

    Articolo 12
    L’infermiere riconosce il valore della ricerca, della sperimentazione clinica e assistenziale per l’evoluzione delle conoscenze e per i benefici sull’assistito. 

    Articolo 13
    L'infermiere assume responsabilità in base al proprio livello di competenza e ricorre, se necessario, all'intervento o alla consulenza di infermieri esperti o specialisti. Presta consulenza ponendo le proprie conoscenze ed abilità a disposizione della comunità professionale. 

    Articolo 14
    L’infermiere riconosce che l’interazione fra professionisti e l'integrazione interprofessionale sono modalità fondamentali per far fronte ai bisogni dell’assistito. 


    Articolo 15
    L’infermiere chiede formazione e/o supervisione per pratiche nuove o sulle quali non ha esperienza. 

    Articolo 16
    L'infermiere si attiva per l'analisi dei dilemmi etici vissuti nell'operatività quotidiana e promuove il ricorso alla consulenza etica, anche al fine di contribuire all’approfondimento della riflessione bioetica. 

    Articolo 17
    L’infermiere, nell'agire professionale è libero da condizionamenti derivanti da pressioni o interessi di assistiti, familiari,altri operatori, imprese, associazioni, organismi. 

    Articolo 18
    L'infermiere, in situazioni di emergenza-urgenza, presta soccorso e si attiva per garantire l'assistenza necessaria. In caso di calamità si mette a disposizione dell'autorità competente. 

    Capo IV 
    Articolo 19
    L'infermiere promuove stili di vita sani, la diffusione del valore della cultura della salute e della tutela ambientale, anche attraverso l’informazione e l'educazione. A tal fine attiva e sostiene la rete di rapporti tra servizi e operatori.


    Articolo 20
    L'infermiere ascolta, informa, coinvolge l’assistito e valuta con lui i bisogni assistenziali, anche al fine di esplicitare il livello di assistenza garantito e facilitarlo nell’esprimere le proprie scelte. 

    Articolo 21
    L'infermiere, rispettando le indicazioni espresse dall'assistito, ne favorisce i rapporti con la comunità e le persone per lui significative, coinvolgendole nel piano di assistenza. Tiene conto della dimensione interculturale e dei bisogni assistenziali ad essa correlati. 

    Articolo 22
    L’infermiere conosce il progetto diagnostico-terapeutico per le influenze che questo ha sul percorso assistenziale e sulla relazione con l’assistito. 

    Articolo 23
    L’infermiere riconosce il valore dell’informazione integrata multiprofessionale e si adopera affinché l’assistito disponga di tutte le informazioni necessarie ai suoi bisogni di vita. 

    Articolo 24
    L'infermiere aiuta e sostiene l’assistito nelle scelte, fornendo informazioni di natura assistenziale in relazione ai progetti diagnostico-terapeutici e adeguando la comunicazione alla sua capacità di comprendere. 

    Articolo 25
    L’infermiere rispetta la consapevole ed esplicita volontà dell’assistito di non essere informato sul suo stato di salute, purché la mancata informazione non sia di pericolo per sé o per gli altri. 

    Articolo 26
    L'infermiere assicura e tutela la riservatezza nel trattamento dei dati relativi all’assistito. Nella raccolta, nella gestione e nel passaggio di dati, si limita a ciò che è attinente all’assistenza. 

    Articolo 27
    L'infermiere garantisce la continuità assistenziale anche contribuendo alla realizzazione di una rete di rapporti interprofessionali e di una efficace gestione degli strumenti informativi.
    Articolo 28
    L'infermiere rispetta il segreto professionale non solo per obbligo giuridico, ma per intima convinzione e come espressione concreta del rapporto di fiducia con l'assistito.
    Articolo 29
    L'infermiere concorre a promuovere le migliori condizioni di sicurezza dell'assistito e dei familiari e lo sviluppo della cultura dell’imparare dall’errore. Partecipa alle iniziative per la gestione del rischio clinico. 

    Articolo 30
    L'infermiere si adopera affinché il ricorso alla contenzione sia evento straordinario, sostenuto da prescrizione medica o da documentate valutazioni assistenziali. 

    Articolo 31
    L'infermiere si adopera affinché sia presa in considerazione l'opinione del minore rispetto alle scelte assistenziali, diagnostico-terapeutiche e sperimentali, tenuto conto dell'età e del suo grado di maturità.
    Articolo 32
    L'infermiere si impegna a promuovere la tutela degli assistiti che si trovano in condizioni che ne limitano lo sviluppo o l'espressione, quando la famiglia e il contesto non siano adeguati ai loro bisogni.
    Articolo 33
    L'infermiere che rilevi maltrattamenti o privazioni a carico dell’assistito mette in opera tutti i mezzi per proteggerlo, segnalando le circostanze, ove necessario, all'autorità competente.
    Articolo 34
    L'infermiere si attiva per prevenire e contrastare il dolore e alleviare la sofferenza. Si adopera affinché l’assistito riceva tutti i trattamenti necessari.

    Articolo 35
    L'infermiere presta assistenza qualunque sia la condizione clinica e fino al termine della vita all’assistito, riconoscendo l'importanza della palliazione e del conforto ambientale, fisico, psicologico, relazionale, spirituale.

    Articolo 36
    L'infermiere tutela la volontà dell’assistito di porre dei limiti agli interventi che non siano proporzionati alla sua condizione clinica e coerenti con la concezione da lui espressa della qualità di vita. 

    Articolo 37
    L’infermiere, quando l’assistito non è in grado di manifestare la propria volontà, tiene conto di quanto da lui chiaramente espresso in precedenza e documentato.

    Articolo 38
    L'infermiere non attua e non partecipa a interventi finalizzati a provocare la morte, anche se la richiesta proviene dall'assistito. 

    Articolo 39
    L'infermiere sostiene i familiari e le persone di riferimento dell’assistito, in particolare nella evoluzione terminale della malattia e nel momento della perdita e della elaborazione del lutto. 

    Articolo 40
    L'infermiere favorisce l’informazione e l’educazione sulla donazione di sangue, tessuti ed organi quale atto di solidarietà e sostiene le persone coinvolte nel donare e nel ricevere. 

    Capo V
    Articolo 41
    L'infermiere collabora con i colleghi e gli altri operatori di cui riconosce e valorizza lo specifico apporto all'interno dell'équipe.

    Articolo 42
    L'infermiere tutela la dignità propria e dei colleghi, attraverso comportamenti ispirati al rispetto e alla solidarietà. 

    Articolo 43
    L'infermiere segnala al proprio Collegio professionale ogni abuso o comportamento dei colleghi contrario alla deontologia. 

    Articolo 44
    L'infermiere tutela il decoro personale ed il proprio nome. Salvaguarda il prestigio della professione ed esercita con onestà l’attività professionale. 

    Articolo 45
    L’infermiere agisce con lealtà nei confronti dei colleghi e degli altri operatori.

    Articolo 46
    L’infermiere si ispira a trasparenza e veridicità nei messaggi pubblicitari, nel rispetto delle indicazioni del Collegio professionale. 

    Capo VI
    Articolo 47
    L'infermiere, ai diversi livelli di responsabilità, contribuisce ad orientare le politiche e lo sviluppo del sistema sanitario, al fine di garantire il rispetto dei diritti degli assistiti, l'utilizzo equo ed appropriato delle risorse e la valorizzazione del ruolo professionale. 

    Articolo 48
    L'infermiere, ai diversi livelli di responsabilità, di fronte a carenze o disservizi provvede a darne comunicazione ai responsabili professionali della struttura in cui opera o a cui afferisce il proprio assistito. 

    Articolo 49
    L’infermiere, nell’interesse primario degli assistiti, compensa le carenze e i disservizi che possono eccezionalmente verificarsi nella struttura in cui opera. Rifiuta la compensazione, documentandone le ragioni, quando sia abituale o ricorrente o comunque pregiudichi sistematicamente il suo mandato professionale. 

    Articolo 50
    L'infermiere, a tutela della salute della persona, segnala al proprio Collegio professionale le situazioni che possono configurare l’esercizio abusivo della professione infermieristica. 

    Articolo 51
    L'infermiere segnala al proprio Collegio professionale le situazioni in cui sussistono circostanze o persistono condizioni che limitano la qualità delle cure e dell’assistenza o il decoro dell'esercizio professionale. 


    Disposizioni finali
    Le norme deontologiche contenute nel presente Codice sono vincolanti; la loro inosservanza è sanzionata dal Collegio professionale.
    I Collegi professionali si rendono garanti della qualificazione dei professionisti e della competenza da loro acquisita e sviluppata.











































































































    SISD (Sudden Infant Death Syndrome)

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    SISD (Sudden Infant Death Syndrome)
    SIDS: 10 regole per prevenire.
    Quasi tutti i genitori, più o meno apprensivi che possano essere, almeno una volta nella vita hanno almeno sentito parlare della temuta SISD (Sudden Infant Death Syndrome). Questo purtroppo è un fenomeno che ad oggi non trova ancora alcuna spiegazione presso la comunità scientifica. Si manifesta provocando la morte improvvisa ed inaspettata di un lattante
    apparentemente sano e la morte di quest'ultimo risulta apparentemente inspiegata anche dopo l'effettuazione di esami post-mortem.
    La sindrome colpisce i bambini nel primo anno di vita: nel 91% dei casi infatti il decesso avviene tra l'1 e i 6 mesi di vita con un incidenza maggiore nel periodo che va tra i 2 e i 4 mesi ed è a tutt'oggi la prima causa di morte dei bambini nati sani.

    E' purtroppo una sindrome che non si può prevedere, ma esistono dei comportamenti corretti che si possono tenere in conto, per prevenire il più possibile il rischio di SIDS.
    Quando ho presenziato al primo corso organizzato dalla CRI di Sesto San Giovanni, alla fine di tutta la formazione sulla disostruzione pediatrica hanno voluto dedicare una ventina di minuti anche a questo fenomeno, mostrandoci alcune regole per cercare di prevenire il problema.

    Ecco le dieci regolo d'oro che mi sono state illustrate:
    1. Far dormire il bambino il posizione supina. Nei primi mesi di vita infatti il bambino va sempre posizionato a pancia in su, sia durante il riposino diurno che durante il riposo notturno. Questa posizione è la più sicura e va tenuta ogni qualvolta che il bambino dorme. In caso di rigurgito infatti, se la posizione in cui si trova il bambino è quella corretta, il latte ritornerà indietro passando dall'esofago (da dove è salito) in caso contrario invece entrerà nella  trachea e, andando ad ostruire le vie respiratorie, provocherà il soffocamento nel lattante. far dormire il bambino in una posizione non consigliata, può essere pericoloso anche per il soffocamento causato dalle lenzuola, dal cuscino o dal materasso nei primi mesi di vita in quanto il bambino è impossibilitato nel girare la testa da solo.

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    1. Fumare durante i nove mesi di gravidanza fa male, anche se si è fumato per brevi periodi o meno del solito. La nicotina infatti non permette il corretto sviluppo del feto nel periodo in cui si è fumato e le eventuali anomalie interesseranno le funzioni specifiche dello sviluppo nel corso di quel preciso intervallo di tempo. Non permettere a nessuno di fumare vicino al bambino e non mettete il bambino in ambienti dove si fuma o si è fumato. Anche l'abbigliamento impregnato di fumo passivo è nocivo per i bambini.
    2. Far dormire il bambino su materassi rigidi. Non utilizzare cuscini, coperte, piumoni o altre superfici morbide ingombranti almeno fino ai sei mesi di vita
    clip_image004
    1. Tenere oggetti soffici, giochi, biancheria sfusa, fuori dal letto del bambino, in quanto durante un movimento involontario può buttarsela sul vio e questa impedirgli di respirare
    2. clip_image006Far dormire il bambino nella vostra stanza ma non nel letto con voi, gesto comunemente chiamato co-spleeping, o con i suoi fratelli e mettere sempre il bambino nel suo lettino dopo l'allattamento.  Non solo perchè, come in molti pensano, si può rischiare di schiacciare il neonato, ma bensì perchè alla nascita, l'articolazione temporo-madibolare non è ancora completamente formata e quindi, con un semplice colpo involontario durante il sonno, la mandibola può essere facilmente spostata verso l'alto e all'indietro spingendo la lingua nelle vie aeree superiori con il conseguente blocco parziale o completo delle vie aeree. Esistono delle culle  create apposta per il co-sleeping o bad-sharing che si "attaccano" al letto dei genitori per permettere la vicinanza neonato/mamma, anche perchè fino circa l'ottavo mese di vita, il posto più sicuro per i bambini per dormire è proprio nella stessa stanza con mamma e papà.
    3. Non coprire eccessivamente il bambino durante il sonno, non avvolgetelo stretto nelle coperte e vestite il bambino con indumenti adeguati. La temperatura della stanza deve essere confortevole ed adeguata e deve essere mantenuta intorno ai 18°/20° C°. Questo va fatto perchè i neonati non hanno la possibilità di espellere quindi il calore dal proprio corpo con il più comune modo fisiologico di raffreddamento: la sudorazione.
    4. Se ha la febbre può aver bisogno di essere coperto di meno e non di più.
    5. Potete usare un succhiotto durante il sonno, tuttavia è importante introdurlo dopo il primo mese di vita quando l'allattamento è ormai già avviato e sospenderlo entro l'anno. Il succhiotto deve essere ortodonticamente adeguato all'età del bambino, con una mascherina rigida e di forma anatomica, conforme alle norme di sicurezza Europea EN I400, garantita da apposito riferimento sulla confezione. Il bambino non va forzato nell'utilizzo, se tende a  rifiutare il succhiotto. Se durante il sonno il bambino perde il ciuccio non va reintrodotto e vanno evitate sempre sostanze edulcoranti in cui intingere il ciuccio.*
    6. Evitare i dispositivi commercializzati per ridurre il rischio di SIDS perchè non sono stati sufficientemente testati per dimostrarne l'efficacia o la sicurezza. Non utilizzare i monitor a casa come una strategia per ridurre SIDS perchè non esiste nessuna prova che essi ne diminuiscano l'incidenza. E' quindi controindicato affidarsi a tali dispositivi di sorveglinza perchè alcuni modelli (tipo AngelCare) non sono apparecchiature mediche e quindi non possono prevenire la morte da culla nei neonati.
    7. Allattare il bambino al seno aiuta a prevenire la SIDS in quanto il latte materno è il miglior alimento per il bambino. Dove non fosse possibile NON E' UN PROBLEMA.
    8. E'importante che tutti coloro che hanno a che fare con il tuo bambino (e con i bambini in genere) conoscano queste dieci regole
    *Approfondimento sull'uso del ciuccio:
    Benefici potenziali del ciuccio:
    • non riduce la durata dell'allattamento al seno se dato ai prematuri a ai bambini dopo il 1° mese di vita
    • diminuisce il rischio di SIDS
    • aiuta a calmare i bambini quando piangono
    • aiuta il prematuro nella maturazione neurologica
    Rischi potenziali del ciuccio:
    • può causare disallineamenti dentali se l'uso viene prolungato oltre l'anno di cita
    • può dimminuire l'allattamento se viene dato entro il mese di vita
    • alto rischio di otite media specialmemte dopo il primo anno di età.
    Queste sono tutte informazioni apprese durante i due corsi organizzati dai volontari della CRI di Sesto San Giovanni e Monza. Sono informazioni che vengono fornite a livello nazionale e approvate da medici, quindi non sono semplicemente opinioni o pareri. Con questo non significa, come anticipato all'inizio, che il problema della SIDS non possa comunque presentarsi, ma questi consigli vengono dati per aiutare, quanto meno, a prevenire la sindrome.
    Io stessa con il mio primo bimbo alcune di queste regole non le ho seguite o mi ci sono trovata in disaccordo ma questo non significa che siccome è andata bene una volta possa succedere anche una seconda, una terza e così via.
    Come sempre la prevenzione e la diffusione di questi messaggi rimane il perno fondamentale di tutto, perchè in più conosciamo e più vite salviamo.... perchè "Chi salva un bambino, salva il mondo intero"
    "Le cose non cambiano, siamo noi che cambiamo"
    Henry David Thoreau
    Fonte: http://www.mammachevita.it/














    Morte o danno da errato codice triage: Cosa dice il Ministero?

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    Morte o danno da errato codice triage: Cosa dice il Ministero?
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    Il triage, secondo quanto riportato nell’Atto di Intesa Stato Regioni del 17/5/96), è “il primo momento di accoglienza e valutazione di pazienti in base a criteri definiti che consentano di stabilire la priorità di intervento”. I pazienti a cui è stato assegnato, da parte del personale addetto all’attività di triage, un codice di priorità di accesso sottostimato rispetto alla condizione clinica e al rischio evolutivo, possono andare incontro a morte o subire un danno severo a causa del mancato o ritardato intervento medico ovvero dell’invio del paziente ad un percorso diagnostico-terapeutico inappropriato.
    La presente Raccomandazione vuole incoraggiare l’adozione di appropriate misure organizzative, formative e assistenziali per prevenire l’insorgenza di eventi avversi o minimizzare gli effetti conseguenti a una non corretta identificazione del grado di criticità e complessità dell’evento segnalato alla Centrale Operativa 118 e ad una non corretta attribuzione del codice triage da parte dall’équipe di soccorso 118 e/o in Pronto Soccorso.
    L’errata attribuzione del codice triage può determinare evento sentinella che richiede la messa in atto di misure di prevenzione e protezione del paziente
    Ecco cosa dice la circolare numero 15 del 2013 in merito a questi eventi e come agire per l’assegnazione corretta del codice di triage
    clip_image003Il ruolo dell'infermiere nel triage pediatrico
    Fonte: Emergency Live





    MANUALE DI RIANIMAZIONE CARDIOPOLMONARE PEDIATRICA DI BASE

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                                                      clip_image002
                                                     MANUALE
    DI RIANIMAZIONE CARDIOPOLMONARE PEDIATRICA DI BASE, DEFIBRILLAZIONE PRECOCE
    E MANOVRE DISOSTRUZIONE DA CORPO ESTRANEO PER LA POPOLAZIONE
    SECONDO NUOVE LINEE GUIDA INTERNAZIONALI ILCOR 2010
    PBLS-D Pediatric Basic Life Support and Early Defibrillation
     
                                                        chi salva un bambino
                                         salva il mondo intero
     
    Prefazione
    a cura del Dott. Marco Squicciarini
    Referente Nazionale ed Internazionale Rianimazione Cardiopolmonare Pediatrica e Manovre Disostruzione
    Il progetto PBLSD ( Pediatric basic Life Support and Defibrillation) e Manovre disostruzione in età pediatrica della Croce Rossa Italiana ha avuto negli ultimi anni un grande impulso a livello nazionale non solo per aver pubblicato le linee guida PBLSD-CRI 2005, ma anche e soprattutto per aver dedicato molta attenzione alla qualità ed alla diffusione della formazione in tutta la penisola.
    Circa 1800 istruttori di “area pediatrica” sono stati formati negli ultimi 3 anni, e molti altri ve- dranno la luce a breve.
    Questo innovativo manuale PBLSD è stato realizzato avendo come rife- rimento le linee guida internazionali ILCOR 2010 (International Liason Committee on Resuscitation) che saranno legalmente utilizzate in tutto il mondo per i prossimi 5 anni. Rispetto alle precedenti linee guida del 2005 vi sono alcune differenze migliorative che troverete espli- citate all’interno del manuale. Abbiamo deciso di inserire molte fotografie in modo da dare al pubblico una visione chiara, efficace ed efficiente, inoltre i colori e la grafica sono innovativi ed accattivanti per cercare di aiutare chiunque a fissare tutti gli importanti concetti salvavita. I post-it “ricorda” servono poi per focalizzare i punti piu’ importanti, il colore rosso, arancione e verde sono poi stati scelti appositamente per dare il livello di attenzione piu’ congruo a seconda delle manovre da effettuare. Un’ampia sessione è dedicata all’utilizzo del defibrillatore semiau- tomatico ( DAE), facendone vedere tutte le possibilità di utilizzo, ed in ultimo un intero capitolo sulle manovre di disostruzione pediatriche, che completa questo prezioso manuale dedicato alla popolazione che contribuirà in modo pratico a migliorare ed a diffondere tutte quelle sem- plici manovre che possono fare la differenza in un soccorso in ambito pediatrico.
    Ci auguriamo che sempre più persone che vivono e che lavorano accanto ai bambini (baby sitter, allenatori sportivi, assistenti sociali di bambini disabili, nonni, genitori, assistenti all’in- fanzia, bagnini etc.) possano entrare in contatto con questo tipo di formazione perché rappre- senta uno strumento indispensabile per essere parte attiva nel primo soccorso pediatrico per la popolazione.
    Un doveroso ringraziamento a tutti i colleghi e Volontari che hanno contribuito alla redazione
    di questo importantissimo documento che insegna a salvare vite di bambini a TUTTI.
     
    Introduzione alle LINEE GUIDA
    a cura della Task Force NAZIONALE
    La grande novità delle Linee Guida 2010 è data dal fatto che sono le prime in Italia rivolte al personale non sanitario. Nascono mentre nel mondo è in atto una rivoluzione legata ai recenti lavori pubblicati sulla rianimazione cardiopolmonare, che sempre più hanno messo in evidenza l’importanza di sostenere il circolo in un piccolo paziente in arresto cardiaco.
    In queste nuove linee guida viene stressato il concetto di non impiegare più di ‘venti secondi’ per effettuare le prime valutazioni ed azioni (le fasi A e B del PBLS) arrivando il più rapidamente possibile ad effettuare le compressioni.
    Il laico (non sanitario), se avrà la sensazione che il paziente non respira e non ha circolo, aiutato dalle due tecniche il G.A.S e il MO.TO.RE. (più estesamente illustrate nel manuale), dovrà dunque velocemente effettuare le prime cinque insufflazioni di soccorso e passare all’esecuzione del massaggio cardiaco.
    Per la prima volta, inoltre, si esprime in queste linee guida il concetto secondo il quale l’opera- tore laico, non disposto o incapace di effettuare la ventilazione bocca a bocca, potrà sostenere unicamente il circolo mediante l’esecuzione delle sole manovre di compressione.
    Le compressioni sono di fondamentale importanza tanto che le nuove linee guida suggeriscono come sia di fondamentale importanza non interromperle mai, se non per i brevi periodi neces- sari per attivare il soccorso avanzato dopo il primo minuto di RCP (se questo non è ancora av- venuto) o per permettere al DAE (quando disponibile) di effettuare l’analisi del ritmo. Pensiamo sia utile allegare un prezioso mini algoritmo utile a semplificare quanto esposto più estesamente nel testo del manuale.
    Scarica moreno_compleanno01------------->QUI


     
     
    FONTE: clip_image004
























    Malattia di Blackfan-Diamond

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    Malattia di Blackfan-Diamond
    Codice esenzioneRDG010

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    La malattia di Blackfan-Diamond (ADB) è un'anemia arigenerativa congenita, spesso macrocitica, associata a ertitroblastopenia. L'incidenza annuale nell'intera popolazione Europea è all'incirca 1/150.000. Può colpire entrambi i sessi e non sono state osservate particolari predisposizioni etniche. Compare di solito entro i 2 anni; la diagnosi dopo i 4 anni è improbabile.
    I segni principali sono il pallore e la dispnea, soprattutto durante l'allattamento o l'alimentazione. Il pallore è sporadico, non si riscontra organomegalia e i segni clinici orientano per un'emolisi o il coinvolgimento delle cellule ematopoietiche. Oltre la metà dei pazienti presenta bassa statura e anomalie congenite, soprattutto cranio-facciali (sindrome di Pierre Robin e palatoschisi; si vedano questi termini), anomalie del pollice e urogenitali. La gravidanza nelle donne affette comporta un rischio elevato sia per la madre che per il neonato. I soggetti affetti sono a rischio elevato di leucemia e di tumore. La malattia di Blackfan-Diamond si trasmette con modalità autosomica dominante a penetranza variabile. Le mutazioni responsabili della malattia sono state caratterizzate nel 40-45% dei casi. I geni coinvolti codificano per proteine ribosomiali (RP), sia per le subunità ribosomiali piccole (RPS7, RPS17, RPS19, RPS24), che per quelle grandi (RPL5, RPL11, RPL35A). Le mutazioni dei geni RPS19, RPL5 e RPL11 sono presenti rispettivamente nel 25%, 9% e 6,5% dei pazienti, mentre le mutazioni degli altri geni sono state evidenziate solo tra l'1% e il 3% dei casi. Fino ad ora, l'unica correlazione genotipo-fenotipo delineata riguarda la ricorrenza dei difetti craniofacciali nei portatori delle mutazioni dei geni RPL5 e RPL11 e la loro rarità nei portatori di mutazioni nel gene RPS19. In un bambino con anemia e eritroblastopenia, la diagnosi può essere supportata dall'anamnesi familiare positiva (10-20% dei casi), dalle malformazioni associate (40% dei casi) e dall'aumento dell'adenosina deaminasi eritrocitaria (ADA), che è un segno comune, ma non specifico e può essere presente anche nei genitori clinicamente asintomatici. L'individuazione di una mutazione in un gene-malattia ha valore diagnostico. La diagnosi differenziale si pone con l'eritroblastopenia transitoria (si veda questo termine), l'infezione cronica da parvovirus B19 e con altre anemie congenite. La consulenza genetica e la diagnosi prenatale sono complesse a causa della variabilità dei sintomi clinici e per il fatto che solo nel 40-45% dei soggetti affetti è stata identificata una mutazione nel gene RP. Nei casi familiari il rischio di trasmissione è del 50%. Si consiglia il follow-up ultrasonografico nelle gravidanze a rischio. Le terapie principali comprendono le trasfusioni a intervalli regolari e la terapia a lungo termine con corticosteroidi. Il trattamento va adattato nei singoli pazienti e deve essere scelto in base alla sua età. Gli steroidi devono essere evitati nel primo anno di vita. La bassa statura è dovuta in parte alla sindrome e in parte alle complicazioni derivanti dalla terapia (steroidi, emocromatosi). Deve essere preso in considerazione il trapianto allogenico del midollo osseo nei soggetti corticoresistenti, quando esista un fratello/sorella, non affetto, HLA identico. La prognosi è generalmente buona. Tuttavia, l'aspettativa di vita si riduce in presenza di complicazioni secondarie alla terapia e a causa dell'elevata incidenza di cancro. La gravità della malattia dipende dalla terapia e dalla risposta del paziente. La qualità di vita nei paziente che si sottopongono regolarmente alle trasfusioni è ovviamente alterata.
    Fonte clip_image004


    Dipendenti pubblici: per le assenze per visite ed esami basta l'autocertificazione

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    Dipendenti pubblici: per le assenze per visite ed esami basta l'autocertificazione
    15 APRILE 2014 La circolare della Funzione pubblica in Gazzetta
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    E' pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n. 85 dell'11 aprile la circolare (CLICCA) della Funzione pubblica n. 2/2014 che indica la possibilità di autocertifcazione - con tanto di modulo prestampato da compilare - per i dipendenti pubblici che si assentano dal posto di lavoro per sottoporsi ad esami clinici, visite specialistiche o terapie.
    Si tratta dell'autocertificazione della propria presenza nella struttura sanitaria pubblica o privata e se la struttura rilascia un'attestazione, questa dovrà contenere la qualifica del soggetto che la redige e l'orario di entrata e di uscita del dipendente, ma, ovviamente, nessun riferimento alla diagnosi perché non si tratta di una certificazione di malattia.

    L'autocertificazione di presenza sostituisce la giustificazione dell'assenza mediante attestazione redatta dal medico o dal personale amministrativo della struttura pubblica o privata che ha erogato la prestazione (attestazione di presenza). Scarica il  modello di autocertificazione
    Assenze periodiche
    Nel caso di dipendenti che debbono sottoporsi periodicamente, anche per lunghi periodi, a terapie che li rendono incapaci al lavoro, spiega ancora la circolare, per semplificare le procedureè considerata sufficiente anche un'unica certificazione (che, per queste ipotesi, potrà essere cartacea) del medico curante che attesti la necessità di trattamenti sanitari ricorrenti con incapacità lavorativa, secondo cicli o un calendario stabilito dal medico.
    Assenteismo nella P.A.: la circolare della Funzione Pubblica sull´attestazione di presenza in caso di assenza per malattia per l´espletamento di visite, terapie, prestazioni specialistiche od esami diagnostici
    Circolare della Presidenza del Consiglio dei Ministri
    E´ stata pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n. 85 del 11.4.2014 la circolare n. 2/2014 della Presidenza del Consiglio dei Ministri, Dip. Funzione Pubblica, registrata alla Corte dei conti il 19 marzo 2014, n. 787, diretta a tutte le amministrazioni pubbliche di cui all´articolo 1, comma 2, del decreto legislativo n. 165 del 2001 per con la quale si forniscono indirizzi applicativi della disposizione in materia di malattia dei pubblici dipendenti prevista dalla legge n. 125 del 30 ottobre 2013, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 255 del 30 ottobre 2013, che ha convertito in legge con modifiche il decreto-legge n. 101 del 31 agosto 2013, recante «Disposizioni urgenti per il perseguimento di obiettivi di razionalizzazione nelle pubbliche amministrazioni».
    La legge di conversione, modificando il citato decreto-legge, infatti, introduce una disposizione in materia di assenze per malattia dei pubblici dipendenti al fine di contrastare il fenomeno dell´assenteismo nelle amministrazioni. In particolare, l´art. 4, comma 16-bis, del decreto, in vigore dal 31 ottobre 2013, ha novellato il comma 5-ter dell´art. 55-septies del d.lgs. n. 165 del 30 marzo 2001, sulle assenze per visite, terapie, prestazioni specialistiche ed esami diagnostici dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni, mentre resta invariato il regime della giustificazione dell´assenza di cui al comma 1 del medesimo articolo. Il citato art. 55-septies, comma 5-ter, del d.lgs. 165 del 2001, come novellato, prevede Che «Nel caso in cui l´assenza per malattia abbia luogo per l´espletamento di visite, terapie, prestazioni specialistiche od esami diagnostici il permesso e´ giustificato mediante la presentazione di attestazione, anche in ordine all´orario, rilasciata dal medico o dalla struttura, anche privati, che hanno svolto la visita o la prestazione o trasmesse da questi ultimi mediante posta elettronica.».
    A seguito dell´entrata in vigore della novella, per l´effettuazione di visite, terapie, prestazioni specialistiche od esami diagnostici il dipendente deve fruire dei permessi per documentati motivi personali, secondo la disciplina dei CCNL, o di istituti contrattuali similari o alternativi (come i permessi brevi o la banca delle ore ). La giustificazione dell´assenza, ove cio´ sia richiesto per la fruizione dell´istituto (es.: permessi per documentati motivi personali), avviene mediante attestazione redatta dal medico o dal personale amministrativo della struttura pubblica o privata che ha erogato la prestazione (attestazione di presenza). L´attestazione di presenza e´ consegnata al dipendente per il successivo inoltro all´amministrazione di appartenenza oppure trasmessa direttamente a quest´ultima per via telematica a cura del medico o della struttura. Nel caso di trasmissione telematica, la mail dovra´ contenere il file scansionato in formato PDF dell´attestazione. Dall´attestazione debbano risultare la qualifica e la sottoscrizione del soggetto che la redige, l´indicazione del medico e/o della struttura presso cui si e´ svolta la visita o la prestazione, il giorno, l´orario di entrata e di uscita del dipendente dalla struttura sanitaria erogante la prestazione. Al riguardo, va chiarito che l´attestazione di presenza non e´ una certificazione di malattia e, pertanto, essa non deve recare l´indicazione della diagnosi. Inoltre, al fine di evitare la comunicazione impropria di dati personali, l´attestazione non deve indicare il tipo di prestazione somministrata.
    Per il caso di concomitanza tra l´espletamento di visite specialistiche, l´effettuazione di terapie od esami diagnostici e la situazione di incapacita´ lavorativa, trovano applicazione le ordinarie regole sulla giustificazione dell´assenza per malattia; in questa ipotesi, il medico (individuato in base a quanto previsto dall´art. 55-septies, comma 1, del d.lgs. n. 165 del 2001 e dalla circolare n. 7 del 2008, par. 1) redige la relativa attestazione di malattia che viene comunicata all´amministrazione secondo le consuete modalità (circolari nn. 1 e 2 DFP/DDI/ del 2010) e, in caso di controllo medico legale, l´assenza dal domicilio dovra´ essere giustificata mediante la produzione all´amministrazione, da parte del dipendente, dell´attestazione di presenza presso la struttura sanitaria (salva l´avvenuta trasmissione telematica ad opera del medico o della struttura stessa). Come di regola, il ricorso all´istituto dell´assenza per malattia comporta la conseguente applicazione della disciplina legale e contrattuale in ordine al trattamento giuridico ed economico. Nel caso di dipendenti che, a causa delle patologie sofferte, debbono sottoporsi periodicamente, anche per lunghi periodi, a terapie comportanti incapacita´ al lavoro, a fini di semplificazione si ritiene che possa essere sufficiente anche un´unica certificazione (che, per queste ipotesi, potra´ essere cartacea) del medico curante che attesti la necessita´ di trattamenti sanitari ricorrenti comportanti incapacita´ lavorativa, secondo cicli o un calendario stabilito dal medico. Gli interessati dovranno produrre tale certificazione all´amministrazione prima dell´inizio della terapia, fornendo il calendario previsto. A tale certificazione dovranno poi far seguito le singole attestazioni di presenza - redatte e trasmesse come sopra indicato - dalle quali risulti l´effettuazione delle terapie nelle singole giornate. In questi casi l´attestazione di presenza dovra´ contenere anche l´indicazione che la prestazione e´ somministrata nell´ambito del ciclo o calendario di terapia prescritto dal medico curante.
    Si rammenta infine che l´attestazione di presenza puo´ anche essere documentata mediante dichiarazione sostitutiva di atto notorio (per un modello di dichiarazione si veda l´allegato) redatta ai sensi del combinato disposto degli artt. 47 e 38 del d.P.R. n. 445 del 2000. Rimane fermo in tal caso che le amministrazioni dovranno richiedere dichiarazioni dettagliate e circostanziate; le stesse dovranno inoltre attivare i necessari controlli sul loro contenuto ai sensi dell´art. 71 del citato decreto, provvedendo alla segnalazione all´autorita´ giudiziaria penale e procedendo per l´accertamento della responsabilita´ disciplinare nel caso di dichiarazioni mendaci (art. 76 d.P.R. n. 445 del 2000).
    Fonte: http://www.infermieristicamente.it/














    DISTROFIA TORACICA ASFISSIANTE (SINDROME DI JEUNE)

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                    DISTROFIA TORACICA ASFISSIANTE (SINDROME DI JEUNE) 

          clip_image002
    Compresa : CONDRODISTROFIE CONGENITE

    Codice esenzione : RNG050
     
    SINDROME DI JEUNE fa riferimento a DISTROFIA TORACICA ASFISSIANTE

    Definizione
    La distrofia toracica asfissiante e una sindrome congenita ereditaria che si trasmette come carattere autosomico recessivo, che presenta condrodistrofia della gabbia toracica e che spesso provoca asfissia nella prima parte del periodo neonatale; si presenta associata con difetti delle falangi e della pelvi. (Dorland's Illustrated Medical Dictionary, 29th Edition).

    Segni e sintomi
    Il quadro clinico e di solito quello di un neonato con il torace molto piccolo, con conseguenti disturbi respiratori, e con variabile brevita degli arti.
    Circa la meta di tutti i casi presenta una polidattilia post-assiale. La brevita degli arti e di solito rizomelica, e la condizione puo essere confusa con l'acondroplasia, se non per i lineamenti del volto che sono normali. I pazienti spesso muoiono in infanzia per insufficienza respiratoria. Per quelli che sopravvivono, causa comune di morte e l'insufficienza renale cronica. Nel rene sono state trovate alterazioni di tipo cistico, ma con l'evolvere della malattia si ha fibrosi periglomerulare. Il quadro puo ricordare la nefronoftisi giovanile.
    Anche la cirrosi puo essere causa di morbilita precoce (Hudgins et al., 1992).
    Wilson et al., (1987) hanno raccolto i casi di sindrome di Jeune con distrofia retinica (si tratta di una associazione gia nota).
    Singh et al., (1988) hanno descritto quattro pazienti, di cui due fratelli, che avevano la sindrome ed anche un modesto idrocefalo congenito.
    (R.M. Winter, M. Baraitser, London Dysmorphology Database, Oxford Medical Databases, 2000).
    Comuni manifestazioni di questa malattia sono la displasia scheletrica con torace stretto e allungato, mani e piedi corti, polidattilia, brevita delle ossa lunghe con irregolarita a livello metafisario e malattia renale progressiva.
    Altre manifestazioni cliniche sono meno comuni, e comprendono lesioni cistiche del pancreas, anomalie della pigmentazione retinica o degenerazione tapetoretinale e difetti dentari ed ungueali.
    (Labrune et al. Jeune syndrome and liver disease: report of three cases treated with ursodeoxycholic acid. Am J Med Genet. 1999 Dec 3;87(4):324-8).

     
    Storia naturale
    In lattanti e bambini con questa sindrome e stato descritto il coinvolgimento epatico, che puo presentarsi come un ittero neonatale prolungato fino alla prima infanzia oppure come una cirrosi epatica precoce.
    Inizialmente, fu ipotizzato che, dopo la normalizzazione, non fosse probabile la ricorrenza di una disfunzione epatica clinicamente evidente in prima o in seconda infanzia.
    Invece, la malattia epatica puo essere progressiva anche dopo la normalizzazione clinica, e le lesioni istopatologiche possono peggiorare. I marcatori sierici sono stati studiati di rado in tali pazienti, ma un aumento delle transaminasi e/o della gammaGT suggerisce malattia epatica.
    E stata descritta proliferazione dei dotti biliari e fibrosi portale associate a sindrome di Jeune, e sono stati documentati due casi di cirrosi precoce.
    (Labrune et al. Jeune syndrome and liver disease: report of three cases treated with ursodeoxycholic acid. Am J Med Genet. 1999 Dec 3;87(4):324-8).
    Una rara associazione e rappresentata dal riscontro di malattia di Hirschprung con la distrofia toracica asfissiante di Jeune.
    (C. Scriver et al., The Metabolic and Molecular Bases of Inherited Disease, Eighth Edition).

     
    Eziologia
    La sindrome e trasmessa come un carattere autosomico recessivo. In un paziente e stata descritta una delezione de novo del braccio corto del cromosoma 12, del(12)(p11.21p12.2).
    (Nagai et al. Del(12)(p11.21p12.2) associated with an asphyxiating thoracic dystrophy or chondroectodermal dysplasia-like syndrome. Am J Med Genet 1995 Jan 2;55(1):16-8).
    La patogenesi dell'interessamento epatico nella sindrome di Jeune e ancora sconosciuta.
    (Labrune et al. Jeune syndrome and liver disease: report of three cases treated with ursodeoxycholic acid. Am J Med Genet. 1999 Dec 3;87(4):324-8).

     
    Diagnosi
    E' necessaria la conferma radiologica della diagnosi. Le coste sono corte, e le ossa iliache della pelvi sono piccole con irregolarita dell'acetabolo. Nel neonato e tipica l'osservazione dell'ossificazione prematura dell'epifisi capitale del femore.
    (R.M. Winter, M. Baraitser, London Dysmorphology Database, Oxford Medical Databases, 2000).

     
    Terapia
    L'espansione tramite toracoplastica probabilmente dovrebbe essere riservata ai bambini che sopravvivono al primo anno di vita senza interventi di chirurgia maggiore.
    (Aronson et al Homologous bone graft for expansion thoracoplasty in Jeune's asphyxiating thoracic dystrophy.. J Pediatr Surg 1999 Mar;34(3):500-3).
    Le convenzionali tecniche chirurgiche di espansione del diametro della gabbia toracica tramite sternotomia e l'inserzione di una protesi metallica per la stabilita della parete anteriore, di solito forniscono a questi pazienti il tempo necessario per la crescita della gabbia toracica. Tuttavia, alcuni dei casi piu gravi possono necessitare di un intervento in due stadi.
    Percio, la gestione dovrebbe essere diretta a risolvere i problemi ventilatori immediati e a minimizzare i danni polmonari secondari causati dal supporto ventilatorio prolungato.
    (Sharoni et al. Chest reconstruction in asphyxiating thoracic dystrophy. J Pediatr Surg 1998 Oct;33(10):1578-81).
    La prognosi, per quanto riguarda la malattia epatica, e scarsa. Ciononostante, la somministrazione di acido ursodesossicolico sembra controllare la progressione della disfunzione epatica, come e gia stato descritto per i bambini con colestasi intraepatica progressiva familiare.
    I pazienti con sindrome di Jeune dovrebbero essere regolarmente seguiti con particolare attenzione alla funzione epatica, compreso il dosaggio degli acidi biliari sierici.
    Riscontri anomali dovrebbero portare ad indagini piu specialistiche e ad un precoce trattamento con acido ursodesossicolico, che puo arrestare, o perlomeno controllare, la progressione del danno epatico.
    (Labrune et al. Jeune syndrome and liver disease: report of three cases treated with ursodeoxycholic acid. Am J Med Genet. 1999 Dec 3;87(4):324-8).

     
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    J-Pediatr-Surg. 1998 Oct; 33(10): 1578-81
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    Pediatr-Nephrol. 1998 May; 12
    (4): 293-4

    Fonte: http://malattierare.regione.veneto.it















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